“Il preludio di nuove opportunità per l’esordiente Governo Meloni”

Come ben sappiamo, da poco si è insediato il governo Meloni. La Premier incaricata, nei giorni scorsi, ha affidato un messaggio ai social dicendo: “Il mio sarà un esecutivo di alto profilo che lavorerà spedito per rispondere alle urgenze della nazione e dei cittadini”. Pertanto potrebbe essere proficuo un investimento per favorire le tanto decantate, ma mai appoggiate da un decreto attuativo, Zone Economiche Speciali. In realtà, tali aree sono state pensate ed istituite nel nostro Paese, con il D.L. 91/2017, a cui ha fatto seguito il D.P.C.M. 25/01/2018 n.12 che ne ha definito modalità, durata, benefici, ecc. Al cospetto di ciò però, sono state introdotte, esistono, ma a mio avviso non sono state ottimizzate come avrebbero potuto esserlo.

“Puntare sulle suddette aree, quali risultati apporterebbe in Italia e soprattutto nel Meridione?”

Tanti di noi, non ne conoscono neanche l’esistenza, dunque vediamo insieme, nella stesura di questo articolo, cosa sono le sopradette, facendone il punto della situazione.

Sommario:

  1. ZES: “definizione e funzionalità”
  2. Zone Economiche Speciali nel mondo
  3. ZES in Italia, condizioni attuali e termini di durata
  4. Opportunità per il Meridione
  5. Conclusioni

 

ZES: “definizione e funzionalità”.

Volendo definirle testualmente, le Zone Economiche Speciali sono aree geograficamente limitate, nella quale aziende già operative e quelle che si insedieranno, beneficiano e beneficeranno, di speciali condizioni per gli investimenti e per lo sviluppo.

In particolare, i principali vantaggi offerti in caso di attuazione positiva sono: un regime fiscale avvantaggiato che appoggia un abbattimento della tassazione su determinate tipologie di imprese; procedure amministrative facilitate; agevolazioni doganali, dazi minimizzati su importazioni ed esenzione e sgravio sulle tasse per esportazione; canoni di concessione agevolati ed esclusione di imposte che vessano sugli immobili, di tributi correlati allo smaltimento dei rifiuti, ai servizi indivisibili, e via dicendo; contributi in conto capitale per investimenti iniziali a sostegno dell’insediamento produttivo: ad esempio, credito d’imposta per gli investimenti effettuati dalle imprese ubicate nelle ZES; modifiche alle discipline sui contratti di lavoro e riduzione degli oneri sociali sulle retribuzioni; interventi infrastrutturali sul territorio d’interesse, con lo scopo di migliorarne la competitività anche in termini di logistica e movimentazione merci.

In termini generali il principale vantaggio sarebbe quello di risollevare aree meno sviluppate e in transizione; per l’Italia la normativa europea cita: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia.

 

Zone Economiche Speciali nel mondo.

L’OECD (L’Organizzazione per la cooperazione economica europea) ha delineato, nello specifico, quattro diversi tipi di Zone Economiche Speciali: “Zone di libero scambio”, regioni che firmano un accordo di libero scambio e mantengono poche o nessuna barriera al commercio sottoforma di tariffe o quote; “Zone industriali di esportazione”, zone franche di produzione costituite in Paesi con livelli di arretratezza nell’ambito del mercato del lavoro e delle norme ambientali. In queste nazioni le produzioni avvengono in condizioni privilegiate sotto l’aspetto economico, territoriale e sociale;  “Zone Economiche Speciali” vere e proprie, che offrono un pacchetto di incentivi, agevolazioni e semplificazioni amministrative alle imprese che stabiliscono la propria sede in una determinata area geografica, come il Mezzogiorno d’Italia; “Zone Speciali Industriali”, all’interno delle quali le agevolazioni afferiscono a specifici settori per i quali possono essere costruite anche infrastrutture e servizi ad hoc. Le sopracitate zone, si sono affermate nel mondo, con risultati differenti, come laboratori per l’attrazione degli investimenti e come incubatori di innovazione, capaci di patrocinare lo sviluppo produttivo e occupazionale di aree svantaggiate o in via di sviluppo. Di tali aree, vi è stata una rapida accelerazione negli ultimi decenni, soprattutto in Europa, anche e soprattutto con lo scopo di contrastare la crisi economica emersa a partire dal 2007, i cui esiti in molti Paesi – come l’Italia – non sono stati del tutto superati.

Dettagliatamente, nel globo si contano circa 4.000 ZES, quelle in Cina e a Dubai sono gli esempi più noti. In Europa sono circa 90 tra ZES e Zone franche, 14 delle quali istituite in Polonia, che rappresentano alcuni tra gli esempi più virtuosi; ma, esistono anche esempi di ZES in cui non si sono raggiunti significativi risultati.

 

Le ZES in Italia, condizioni attuali e termini di durata

Nel dettaglio, L’art. 4, comma 2 del D.L. 91/2017 definisce la ZES: “…zona geograficamente delimitata e chiaramente identificata, situata entro i confini dello Stato, costituita anche da aree non territorialmente adiacenti purché presentino un nesso economico funzionale, e che comprenda almeno un’area portuale con le caratteristiche stabilite dal regolamento UE n. 1315 dell’11 dicembre 2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, collegata alla rete transeuropea dei trasporti (TEN-T). Per l’esercizio di attività economiche e imprenditoriali le aziende già operative e quelle che si insedieranno nella ZES possono beneficiare di speciali condizioni, in relazione alla natura incrementativa degli investimenti e delle attività di sviluppo di impresa”.

Per quanto riguarda, specificatamente, le Zone Economiche Speciali del Mezzogiorno, in sede di progettazione, il Governo italiano ha dunque deciso che: il PNRR destina 630milioni di euro per investimenti infrastrutturali a favore di un accrescimento dei collegamenti delle ZES con la rete nazionale dei trasporti, al fine di rendere efficace l’attuazione delle citate. A tali risorse, si aggiungono ulteriori 1,2 miliardi di euro riservati per potenziare i principali porti del Mezzogiorno.

Le principali esigenze sulle quali si dovrà intervenire sono: la realizzazione di connessioni tra le aree portuali e industriali e la rete infrastrutturale ferroviaria e stradale facente parte delle reti di trasporto principali, così da consentire ai distretti produttivi di ridurre tempi e costi logistici; la digitalizzazione ed il potenziamento della logistica, urbanizzazioni green e lavori di efficientamento energetico e ambientale nelle aree retroportuali e nelle aree industriali appartenenti alle ZES; il potenziamento della resilienza e della sicurezza dell’infrastruttura connessa all’accesso ai porti.

La Legge di Bilancio 2021 ha previsto, per le imprese che intraprendono una nuova iniziativa economica nelle Zone economiche speciali (ZES), un nuovo limite di spesa pari a 100 milioni di euro per ciascun progetto di investimento e l’estensione dell’agevolazione all’acquisto di immobili strumentali agli investimenti, inoltre la riduzione dell’imposta sul reddito derivante dallo svolgimento dell’attività nella Zona Economica Speciale del 50% a decorrere dal periodo d’imposta nel corso del quale è stata intrapresa la nuova attività e per i sei periodi d’imposta successivi. In aggiunta, alle imprese che avviano un programma di investimenti di natura incrementale nella ZES, è consentito di cedere il credito d’imposta ad altri soggetti, compresi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari. Peraltro, attivi sono i contratti di sviluppo nelle dette aree: i quali permettono il finanziamento agevolato al 20% del tasso di riferimento del 75% delle spese ammissibili. Ma, tuttavia, il riconoscimento dei benefici è correlato al rispetto di alcune condizioni, a pena di decadenza: le imprese beneficiarie devono mantenere la loro attività nell’area ZES per almeno dieci anni ed inoltre devono conservare i posti di lavoro creati nell’ambito dell’attività avviata nella ZES per almeno dieci anni; devono essere locate in una Regione del Mezzogiorno, comprendere almeno un’area portuale, prevedere incentivi in relazione alla natura incrementale degli investimenti, avere un piano di sviluppo strategico, specificare eventuali accordi o convenzioni quadro con banche ed intermediari finanziari e avere un commissario straordinario del governo.

 

Opportunità per il Meridione: dalle ZES all’internazionalizzazione

Al cospetto di quanto ampiamente predetto, oggi le imprese meridionali non mostrano ancora interesse per gli investitori nazionali e internazionali e, per alcune, manca ancora il piano attuativo vero e proprio per investire nelle aree agevolate. Ciò dipende da una serie di motivi, tra questi: la mancata attuazione di quanto previsto nei Piani di Sviluppo Strategico di ciascuna ZES, in tema di infrastrutturazione e di messa in sicurezza delle aree (si veda il caso della ZES di Gioia Tauro); inoltre sarebbe opportuno avviare un Piano di Semplificazione amministrativa e burocratica, attivando ad esempio, gli Sportelli Unici per le imprese investitrici. In tal senso, il Commissario dovrebbe avere un potere autorizzativo superiore e senza veti esterni, essendo tali zone enti sovra-istituzionali con un proprio assetto. Anche il decreto legge n.36 del 30 Aprile 2022 all’art 37 corrobora le potenzialità e le opportunità delle menzionate zone, ma ancora nulla di concreto. Pertanto, suppongo che il recente esecutivo dovrebbe risollevare tali aree avvalorandole in ogni loro parte. In questo contesto il Mezzogiorno d’Italia può giocare un ruolo di Hub strategico Europeo nel Mediterraneo potendo caratterizzarsi come porta verso il continente Africano e verso l’Oriente ma anche come linea di transito tra queste aree e l’Atlantico risalendo l’Europa. Le ZES, nelle esperienze nazionali e internazionali, si sono dimostrate uno strumento efficace nell’attuazione delle strategie di sviluppo, offrendo una connessione diretta con i mercati esteri e le reti di produzione globali. In particolare, vista l’attuale affermazione di value chain “globali”, le ZES possono diventare nodi importanti per guidare il commercio internazionale. Ecco che balza all’occhio quello che è il fenomeno dell’internazionalizzazione, strettamente in correlazione alle ZES. Quest’ultimo può essere definito come un processo di apertura ed espansione al di là del proprio mercato nazionale strutturando rapporti economici con imprese, consumatori e istituzioni estere. Internazionalizzare un’impresa permetterebbe di poter sostenere costi inferiori rispetto ai concorrenti; di disporre di un prodotto percepito dai consumatori come unico; di poter mettere a profitto il proprio prodotto anche sui mercati esteri. Molte organizzazioni aziendali nel nostro meridione, oggigiorno hanno come unico pensiero quello di chiudere le saracinesche, soprattutto dopo quest’ultimo periodo pandemico; bensì, invece di cessare le proprie attività dovrebbero aprirsi con l’estero e globalizzarsi, cogliendo dagli immensi problemi le tante opportunità. Anche dagli Stati Generali, nei giorni recenti, è stato rivolto l’appello da parte del presidente del Forum Italiano dell’Export a Giorgia Meloni: “Occorre ripristinare il Ministero del Commercio estero”. Anche questo ci fa capire quanto importante sia tale ambito, e come tanta è ed è stata la finanza agevolata che si è mostrata a favore.

 

Conclusioni.

Tra la guerra e la pandemia, oggi la crisi economica è pungente e ostativa, però ci si può risollevare, reinventando le proprie sorti, senza mai mollare.

Il nostro meridione è la fetta d’Italia più compromessa, più arretrata. In uno studio statistico svolto dall’agenzia ICE nel 2016 in relazione ai dati ISTAT, difatti emerge come il sopracitato negli anni si è sempre mostrato meno globalizzato; ancora oggi permane tale situazione purtroppo.

Figura 1

Pertanto suppongo che per farlo rinascere, bisognerebbe proprio mirare e avvalorare Mare, Energia, Turismo e Ambiente (Meta) che rappresentano i quattro assi portanti per la ripresa del Mezzogiorno. Il rafforzamento di questi ambiti, favorito dallo stanziamento dei fondi europei del PNRR, costituisce il punto di forza per favorire la ripartenza del Sud Italia e di conseguenza dell’intero Paese.

In particolare, il Sud Italia, alla luce dell’importanza dei suoi porti e del suo posizionamento potrebbe affermarsi come piattaforma marittima di correlazione tra Europa e Mediterraneo, e diventare leader nell’Economia del mare, nei settori dei trasporti, della cantieristica e della formazione; inoltre potrebbe affermarsi come hub energetico e di contrasto al cambiamento climatico; peraltro per poter al meglio valorizzare il turismo, servirebbe una nuova strategia, che posizioni il Meridione come destinazione di riferimento nel Mediterraneo. Questa dovrebbe avere come obiettivi la destagionalizzazione dei flussi, la creazione di valore sul territorio, un marketing territoriale integrato e lo sviluppo di prodotti innovativi e competitivi a livello internazionale.

Il mezzogiorno, può rinascere, dobbiamo essere noi i primi a volerlo, in quanto i problemi non devono essere visti come uno stop, ma come linee guida.

IRENE DESIRÉ RUSSO