Michele Iacocca: orgoglio del Meridione in Brasile

Iacocca-Michele

Michele Iacocca, scrittore, illustratore, vignettista, fumettista, traduttore, giornalista, editore, ha all’attivo una brillante carriera costellata di successi e riconoscimenti. I suoi libri sono stati pubblicati dalle più importanti case editrici del Brasile e premiati a livello internazionale. È stato traduttore di opere di scrittori del calibro di Gianni Rodari e Umberto Eco e della versione originale di Pinocchio di Carlo Collodi. Ha scritto e collaborato, in qualità di autore, coautore e illustratore, a più di 200 opere in totale. Di recente ha fondato una sua casa editrice. Si può affermare senza dubbio che rappresenti l’orgoglio del Meridione italiano a livello internazionale.

 

Lei è nato in Italia, precisamente a San Marco de Cavoti, in provincia di Benevento, ma si è presto trasferito in Brasile in un’epoca di grande fermento culturale, di cui Lei stesso è stato protagonista. Quali sono i Suoi ricordi più vivi?

Son venuto in Brasile quando avevo esattamente vent’anni. In Italia lavoravo con un ingegnere nella riforma agraria e guadagnavo quanto un maestro di scuola, ma mi venne una gran voglia di conoscere il mondo a tutti i costi, spinto anche dal voler eludere di dover fare il soldato. Romanticamente la scelta inizialmente cadde sulla Nuova Zelanda, perché si trovava letteralmente dall’altro lato del mondo, ma la cosa non si sarebbe potuta realizzare nell’immediato. Più facile invece fu andare in Brasile dove mio padre, che io neanche conoscevo bene, era venuto agli inizi degli anni ‘50 e così mi trasferii. I miei ricordi più vivi risalgono già ai primissimi momenti del mio viaggio verso il Brasile con la famosa nave argentina “Corrientes”, con a bordo tante persone italiane, spagnole, portoghesi, argentine e uruguaiane, e tutto quello che accadde nei sedici giorni della durata del viaggio, una convivenza quasi surrealista. Arrivato in Brasile il ricordo più vivido è quello dell’incontro con mio padre e l’aver scoperto che avevo un orizzonte immenso davanti a me, una vita tutta da conquistare, un paese tutto nuovo che dovevo conoscere e vivere pienamente, anche attraversando le difficoltà che non sono mancate. Tutto è stato da subito molto ricco e pieno di vita. Tante cose accaddero in quegli anni in cui mi tuffai totalmente nella realtà brasiliana. Diventai amico di scrittori, giornalisti, personaggi di teatro, della TV, del cinema, grandi fotografi e lavorai con molti di loro producendo disegni, fotografie di moda, scrivendo storie per cinema. In un film sperimentale lavorai anche come attore e fui inoltre direttore artistico di un programma TV.

La Sua è una carriera lunga e costellata di molteplici premi e riconoscimenti e soprattutto di tante esperienze, le più significative?

Ho lavorato per una decina di anni come assistente e art-director in agenzie di pubblicità e nella casa editrice più importante del Brasile, la Editora Abril, una specie di Mondadori, dove, oltre a Disney e fotoromanzi, si pubblicavano riviste di moda e attualità e il settimanale Veja, che ancora oggi è il principale settimanale a larga tiratura. In alcune riviste di questa casa editrice ho cominciato a pubblicare negli anni ‘70 illustrazioni, cartoons di satira politica e di costume e ho creato, per la rivista Claudia, il personaggio Eva, che poi è diventato un libro premiato dalla critica. Negli anni’ 80 ho pubblicato una striscia giornaliera nel “Caderno 2” del quotidiano O Estado de São Paulo. Parallelamente a tutto questo lavoravo molto per la stampa alternativa, detta “nanica” (nanetta), di chiarissima posizione antidittatura. Una grandissima esperienza, principalmente umana, forse la migliore esperienza di vita fatta di contatti con grandi persone, di rapporti veri e sinceri dove ci si scambiava di tutto, cultura, punti di vista, necessità e apprendistato, il più vero e profondo.

 

Illustratore, traduttore, giornalista, scrittore, editore, qual è l’attività in cui si riconosce di più?

Posso dire con certezza che la circostanza fece di me un po’ un illustratore e un po’ un giornalista e un traduttore, ma la mia esperienza di vita ─ tanto a San Marco dei Cavoti, luogo dove ho trascorso l’infanzia e la mia prima gioventù, quanto qui in Brasile, da me vissuto in tutta la sua realtà e cultura ─ mi spinge sempre a essere un “contador de histórias”, come dicono qui, cioè tutto mi spinge a raccontare le tante storie, con tutto quello che raccontano e dicono e significano. È la cosa mi dà un immenso piacere.

 

Ha tradotto opere di grandi scrittori come Gianni Rodari e Umberto Eco e la versione originale di “Pinocchio” di Carlo Collodi. Dal punto di vista di traduttore, che è anche scrittore nel Suo caso, qual è l’universo che può disvelare un’opera letteraria resa in un’altra lingua?

Prima di tutto bisogna conoscere profondamente la lingua nella quale si traduce e viverla anche sensorialmente, per capire e passare il significato vero di quello che si sta traducendo. Io, per esempio, mi considero incapace di tradurre dal portoghese all’italiano, proprio perché il portoghese brasiliano è la lingua che io vivo e sento anche nel senso più fisico del termine. Ad esempio, quando lessi Il nome della rosa (non tradotto da me) in portoghese ne ebbi un’impressione di un certo tipo, quando lo rilessi in italiano mi sembrò un altro libro. Poi mi accorsi che nella lingua italiana il paesaggio era diverso e io sentivo anche il clima diverso, il freddo della neve, il fuoco, il calore della paglia, il suono delle parole. Come un’appartenenza. Quando tradussi il Libro dei perché di Rodari pensai molto a tutto questo e provai a mantenere tutto quello che l’autore voleva trasmettere, rime, suoni, significati, scherzi, a volte cercando in portoghese parole nuove che davano lo stesso risultato e rendevano perfettamente ogni idea da lui proposta. Penso che la parola sia una cosa viva che vada abbastanza oltre l’intelletto, anche se in forma inconscia.  

 

Ha scritto per numerose case editrici, pubblicando oltre un centinaio di libri per bambini e di recente ha lanciato un nuovo progetto editoriale. Qual è la Sua idea di letteratura tout court?

Tutto quello che ho pubblicato fino a oggi è stato sempre per case editrici grandi come Atica, Melhoramentos, Moderna-Santillana, Santa Maria, Saraiva, Positivo e molte altre. Adesso, insieme a Carolina Michelini, ho messo su una piccola casa editrice, ONDADOMAR, per avere la libertà di pubblicare cose nostre nuove e libere, anche in modo sperimentale. La letteratura per me è importante tanto quanto mangiare. O anche di più, perché ti lascia cose per tutta la vita, come un immenso scrigno pieno di gioie al quale si può accedere sempre. Illumina, educa, ti fa capire di te e degli altri e della vita. Ti aiuta a cercare e trovare il linguaggio per capire e raccontare la tua storia o te stesso. Ti fa crescere veramente come essere umano e ti mette in condizione di capire gli altri. Come si dice in portoghese: tudo de bom!

 

Come vede il “ruolo” del testo letterario nel contesto attuale?

La parola è la forma con la quale ci esprimiamo. Il testo letterario lavora con la parola aprendola a più significati, simbolici, poetici, magici. Impoverire la parola è un po’ come rinunciare a sé stessi.

 

Il suo tipo di illustrazione è letteraria e complementare al testo, potremmo dunque parlare di una semantica dell’immagine?

Nel mio caso sì. Quando penso di scrivere un libro penso sempre alle due cose insieme, anche perché sono io che illustro i miei libri. Ma la cosa è nata così, perché io disegnavo prima di scrivere e il mio primo libro, Eva, è un libro strutturato come un fumetto. E anche il secondo, Vacamundi e poi il terzo, Capitu e outras Evas, tutti e tre premiati. Anche nella letteratura per bambini ho pubblicato una serie di libri, anche questi premiati, senza parole, solo immagini. Nei libri di testo inserisco sempre le illustrazioni, sono due aspetti che si completano e cerco di dare una lettura anche al passaggio da una pagina all’ altra, come si fa a volte tra un’azione e l’altra quando si monta un film. Tutto incredibilmente sperimentale.

 

Della sua prolifica produzione letteraria, qual è il titolo al quale si sente più legato?

Ogni libro ha la sua storia, tra i libri che hanno avuto maggior risonanza posso citare As Aventuras de Bambolina, la storia di una bambola di pezza usata, cambiata, scartata, buttata via, finché non viene trovata da una persona che la lava, la rimette in sesto e la trasforma in personaggio di teatro, facendola diventare un po’, come tutti noi, la cantastorie di se stessa e l’interprete di altri personaggi bambole come lei. Un po’ come la vita fatta di interazioni. Un altro testo da menzionare è Rabisco — um cachorro perfeito, la storia di un ragazzo che disegna un cagnolino che salta dalla carta e gli va dietro. Ma il ragazzo non lo vuole perché lo trova brutto. Allora il cagnolino va a cercare l’autore per farsi trasformare nel cane che sarebbe piaciuto al bambino.  Questo libro è anche entrato nella honour list della iBbY. Poi c’è Nerina – A Ovelha Negra, la pecorella nera che, discriminata dalle pecorelle bianche e allontanata dal branco, si trova di fronte il lupo, che, invece di sbranarla, le fornisce unghie e denti, la istruisce e la porta a cacciare con lui, usandola come trappola per le altre pecore. Questa storia è ispirata alla storia dei bambini che cadono nelle mani dei trafficanti e dei banditi, come accade succede qui nelle favelas. Tutti questi libri sono poi diventati spettacoli teatrali di grande successo, premiatissimi. Nerina ha vinto 6 nomination per il Premio San Paolo per l’incentivo al Teatro Infantil e Jovem 2017 (miglior spettacolo, adattamento, regia, attrice, colonna sonora e sostenibilità) e ha  ricevuto il premio Aplauso Brasil, il  massimo riconoscimento del teatro brasiliano. E poi ancora O Natal do Mico, la storia di un ragazzo invitato da un cugino a passare il Natale in casa loro in città. Tutto bello, colorato, negozi luminosi, Babbo Natale gigante, i poveri in piazza che ricevono doni, la cena, la festa, l’albero di Natale, i regali. Tutto bello, incantevole, finché, un po’ prima di mezzanotte, tutti vanno a dormire, felici e Mico, quando si vede solo, in una stanza che non è la sua, distrattamente pensa che anche il Bambin Gesù a quell’ora starebbe per nascere in un posto che non è la sua casa. E pensa che nessuno aveva parlato di Gesù Bambino in tutte le festività di Natale. E allora? E adesso? Dove potrebbe stare questo Gesù Bambino quasi dimenticato da tutti? Mico si fa queste domande e si accorge che in quel momento questo bambino è proprio dentro di sé ed era uguale a lui, della stessa età e statura e che sarebbe rimasto sempre con lui e sempre bambino per tutta la vita. Credo che questo dia una idea di come io scrivo per bambini e quello che voglio trasmettere loro. Sempre, come ho già detto, realtà, mistero, fantasia e poesia vanno insieme.

 

Qual è il confine tra rappresentazione della realtà e dimensione fantastica attraverso la Sua narrazione? E che messaggio che cerca di trasmettere attraverso le sue opere?

In una storia per me realtà, mistero, fantasia e poesia sono inseparabili e vanno sempre insieme. La magia non viene da fuori ma è dentro di noi. Siamo noi stessi che interpretiamo e trasformiamo il significato delle cose. E i bambini sono maestri in questo. In un libro recente, O mergulho na lua (Il tuffo nella luna) due bambini, che neanche si conoscevano, uno figlio di contadini e l’altro figlio di un impiegato delle poste, fanno un viaggio insieme in una notte de luna straordinariamente piena. E, anche se abbastanza diversi, scoprono che in questo nuovo mondo notturno, dove tutto è diverso, loro due sono la stessa cosa e complementari. E qui entra tutta la parte più bella, magica e sensibile dell’infanzia. In un altro libro recente, A nuvem que não queria chover (La nuvola che non voleva piovere) una nuvoletta appena nata che si vede in mezzo a tante nuvole brontolone che a ogni sua domanda rispondono che lei è nata per piovere e basta. Ma lei vede il mondo e vuol conoscerlo e decide che non vuol piovere. E così succede. Si incanta con tutto, scherza col vento, parla con la luna, si illumina con i raggi del sole, gioca con i colori, con le piante e con i suoni del mondo. Incantata da tanta bellezza, resiste anche quando le scappa qualche gocciolina. Finché un giorno sente che dovrà piovere e quando succede si accorge che era proprio lei, con tutte le sue gocce, la vera vita di tutta questa bellezza.  Questo è stato il mio modo di dire ai bambini che ognuno di loro, nuvoletta bella e curiosa, può trasformarsi in milioni di gocce che sono tutti i bambini che innaffiano il mondo e lo riempiono di bellezza. Per i bambini il mio messaggio è cercare di essere sé stessi al massimo. Di capirsi e di capire l’altro. Di sentire la bellezza di essere bambino, di convivere e di sentire la luce, la magia e la bellezza del sorriso della vita. E scoprire che tutto ciò sta dentro di loro.

 

Che influenza può avere a Suo avviso la voce dello scrittore sul mondo esterno?

Credo che abbia una grande influenza. È l’eterno “cri cri” del grillo. A volte lo avverti, a volte no, ma c’è. A volte il ricordo di una frase letta, anche per caso, un verso di una poesia, un pensiero o una riflessione scritta, una storiella senza pretese o lo schiaffo improvviso di un grande autore e quando meno te lo aspetti ti casca addosso un bel fascio di luce che illumina, schiarisce e restituisce la condizione di essere umano, sensibile, intelligente, dialettico e, perché no, anche spirituale e sacro.

 

Secondo Lei, oggi giorno in cui tutto corre velocemente sulla rete, esiste ancora un futuro per la carta stampata e l’editoria?

Non saprei dire. A me è sempre piaciuto il libro come oggetto fisico. Il piacere di possederlo, averlo fra le mani, sentirlo mio, accarezzarlo, sfogliarlo, guardarlo, attardarmi a guardare i disegni e a volte anche il formato delle lettere. Il piacere di fermarmi per lasciarmi sedurre da un’immagine o da un testo il tempo sufficiente per depositarli dentro di me come in un salvadanaio e non dimenticarli più. Questo rapporto così fisico che si crea con un libro che poi trascende anche la parte letteraria (anche il libro invecchia e, invecchiando, crea una storia che è anche parte della storia del proprio lettore), mi sembra insostituibile. Fino ad ora ho sempre preferito il libro.

 

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Lorena Coppola