I poli di risorse immediatamente disponibili nel Mezzogiorno sono i Giovani e il Territorio. I punti di crisi sono il Lavoro che manca – così si dice – e la debolezza del Sistema pubblico che non riesce a governare le risorse territoriali ai fini di uno sviluppo inclusivo e sostenibile. Il PNRR è un flusso di risorse finanziarie con cui si punta a modernizzare il Paese, ma per raggiungere i suoi obiettivi richiede una strategia operativa che tenga conto degli squilibri territoriali, ovvero delle diverse condizioni di contesto in cui questa opportunità finanziaria può essere colta in chiave di sussidiarietà e produrre i risultati attesi. La breve trattazione che segue richiama una strategia operativa utile a connettere i poli di risorse con i punti di crisi che si presentano a geometria variabile nelle diverse aree territoriali. Se ben contemplati e integrati, questi elementi possono evolvere in fattori strategici di successo.
In via preliminare, per rendere più comprensibile la traccia del ragionamento, richiamo brevemente i concetti in cui essa genera e trova fondamento. Per Territorio si intende l’organismo complesso in cui viviamo, fatto da elementi materiali (naturali e costruiti) e dalle comunità che lo abitano, lo vivono e lo amministrano; per Giovani si intende il capitale umano più energico, ancorché dotato di competenze e passioni che servono per mettere a frutto l’intelligenza; per Governo si richiama il significato più profondo della parola: la cura del territorio, il perseguimento del Bene Comune; per Lavoro si intende tutto quello che c’è da fare, non certo il “posto”.
Il territorio: una risorsa complessa
Con la crisi del fordismo, i luoghi di produzione hanno travalicato i confini della fabbrica. Se si pensa alla nuova domanda di beni e servizi fondamentali (salute, mobilità, istruzione, sicurezza, cibo, turismo, tempo libero, …) si può immaginare il territorio come una fabbrica complessa in cui il lavoro è articolato in miriadi di attività in cui sono impiegati una moltitudine di soggetti (da piccole e medie imprese alle Partite IVA) che, solitamente, sono radicate nelle peculiari identità del luogo, in culture, mestieri, tradizioni e vocazioni locali. È l’insieme di questi produttori di beni e servizi che rende il territorio più o meno competitivo. Uno spaccato di questa chiave di lettura del territorio è ne “Il distretto del piacere” A. Bonomi – 2000.
Su come migliorare le performances produttive, il mondo delle imprese e della ricerca hanno sviluppato le Academy aziendali, una innovazione di indubbio valore che produce buoni risultati, ma -come è stato notato- non basta sviluppare la sola “gamba aziendale”. Il successo delle imprese, infatti, dipende molto dal contesto territoriale in cui nascono, crescono e si proiettano nel mercato e nella società globale. La qualità/adeguatezza del contesto territoriale ha una notevole incidenza, non a caso si parla di competitività territoriale. Per questa ragione la complessità del Territorio assume rilevanza di elemento e fattore di sviluppo. L’insieme delle risorse, naturali, umane e produttive ne descrive la ricchezza e il potenziale sviluppo; la difficoltà a combinarle armonicamente costituisce il principale ostacolo.
Le difficoltà derivano dal fatto che il territorio è il luogo fisico dove precipitano e si intrecciano i cambiamenti che si susseguono vorticosamente in tutti i campi (Politico, Istituzionale, Normativo, Amministrativo, Culturale, Finanziario, Ambientale, Sociale, … Climatico e Biologico, come si è capito meglio negli ultimi tempi); ma proprio per questo è un luogo privilegiato di osservazione, di ricerca da cui ripartire per accrescere la qualità della vita delle comunità e la competitività del sistema produttivo. Nel Mezzogiorno è più frequente che questi cambiamenti interagiscono e si condizionino negativamente tra loro. Ciò aggiunge complicazione alla complessità e genera caos. La sfida del nostro tempo è di operare dentro la complessità riducendo le complicazioni, armonizzando le risorse disponibili. Seguire le vocazioni di sviluppo di ciascun luogo si è rivelata una buona traccia di lavoro.
I Giovani: un polo di risorse
CHI può raccogliere questa sfida se non il polo di risorse costituito dalle nuove generazioni?Serve la fresca intelligenza di sociologi, antropologi, ricercatori e operatori nei luoghi, per conoscere i beni materiali e immateriali del territorio nelle sue risorse nascoste (A. Hirschman); servono urbanisti, geografi, ambientalisti, che sappiano pianificare il buon utilizzo del territorio ai fini della sua salvaguardia da inediti rischi ambientali e per l’equilibrata organizzazione delle funzioni urbane in rapporto ai bisogni reali dei cittadini; servono economisti, ingegneri che sappiano calibrare la sostenibilità degli interventi con le risorse disponibili e le “promesse” di benefici economici e sociali; servono giuristi per trovare le vie giuste nella selva intricata di norme, procedure, regolamenti che complicano -talvolta inutilmente- la vita delle comunità operose. Servono mediatori culturali in grado di superare le asimmetrie informative che segnano le distanze tra il centro e la periferia dello Sato; di far comunicare e interagire tra loro gli attori sociali nella babele di linguaggi, conflitti nominalistici, superficialità che rendono povera la comunicazione.
Nessuna di queste discipline, da sola, può affrontare la complessità di problemi che bisogna trattare nelle loro dinamiche evolutive. Serve un approccio sistemico-evolutivo, ovvero integrato e multidisciplinare, sia nell’analisi dei problemi, sia nella ricerca di soluzioni. Serve fare esercizio di intelligenza, esaminare a fondo i conflitti, le contraddizioni, le incongruenze; cogliere i fili di connessione tra le positività che pur esistono nel caos e accompagnarne l’intreccio verso esiti coesivi e competitivi. Serve ascoltare il territorio nei suoi bisogni profondi, rilevare i filamenti da intrecciare tra luoghi e persone che li vivono, un punto di inizio per costruire moderne comunità di destino (Morin).
L’ascolto del territorio nelle esperienze di campo
Nel ‘90 M. Crozier pubblicò L’impresa in ascolto che ha dato impulso alle Academy aziendali con gli esiti positivi a cui abbiamo accennato. Nel ‘94 E. Laszlo, uno dei massimi studiosi della complessità e della teoria dei sistemi, pubblicò il suo Navigare nella turbolenza. Entrambi sono stati ispiratori di una strategia sistemico-evolutiva per lo sviluppo territoriale. A metà degli anni ’90, quando la crisi del secolo breve era già abbastanza preannunciata, si ebbe la suggestione di assumere un ambito territoriale della Provincia di Napoli come fabbrica complessa. Mi riferisco al Miglio d’Oro, un territorio di 60 Kmq ai piedi del Vesuvio, amministrato da quattro Comuni, popolato da 300.000 abitanti e dotato di straordinarie risorse ambientali, culturali, produttive e umane che risultavano largamente sottoutilizzate. L’esperienza è descritta in “Tra dire e fare sviluppo dal basso. Il caso del Miglio d’Oro” O. Cammarota – 1996.
Ci si pose in ascolto del territorio e – con l’accompagnamento del CNEL, all’epoca guidato da G. De Rita e A. Bonomi – fu promosso il Patto Territoriale del Miglio d’Oro, un Programma integrato di sviluppo che ottenne un finanziamento di 75 Miliardi di Lire (Del. CIPE n.130 del 26/6/’97). Analoghe esperienze si svolsero in altre parti d’Italia, furono le prime dodici esperienze di questo genere, rintracciabili in letterature di ricerca come Patti Territoriali di prima generazione. Altre esperienze sono state svolte in epoche successive e, con un più robusto accompagnamento finanziario e procedurale della Commissione Europea (POM Sviluppo Locale – Patti Territoriali per l’Occupazione – Ob. 1 – Italia), hanno prodotto risultati misurabili e inconfutabili resocontati ne “La Recuenta dei PTO” A cura di DPS-rete PTO 2009 Editore l’Arte Grafica – Roma. Una di queste esperienze, il PTO Nord-Est Napoli- Agenzia locale di sviluppo “Città del fare”, nell’ambito del Forum PA del 2005, fu persino riconosciuta Award di eccellenza dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, con il Premio “Sfide 2004. Azioni innovative per lo sviluppo territoriale”.
Analoghi approcci operativi sono poi stati sperimentati con i Progetti Integrati Territoriali e ulteriormente perfezionati nella Strategia Nazionale per le Aree Interne attualmente in corso. Queste esperienze hanno certificato l’importanza di ascoltare il territorio, partendo certo da conoscenze scientifiche e dati statistici, ma ancor più formando i Partenariati socio-economici locali, le sedi in cui la società e la comunità locale si è potuta incontrare, scontrare, dialogare, conferire i propri saperi di contesto, apprendere meglio le ragioni dell’altro da sé e trattare i conflitti con uno sguardo rivolto al futuro; dove si è fatto, insomma, esercizio di intelligenza. Queste pratiche sono valse a far emergere tracce di Resilienza su cui taluni territori proseguono tutt’ora i loro percorsi evolutivi.
Va richiamato che il saccheggio di queste pratiche sperimentali – cioè la loro parziale, frettolosa e superficiale interpretazione – non sempre ha generato risultati positivi e ha piuttosto contribuito a formare una cattiva reputazione a questo approccio culturale. Si pensi, ad esempio, agli esiti deludenti di tanti Patti Territoriali di c.d. seconda generazione, o Progetti Integrati, o altre innumerevoli denominazioni che, di fatto, hanno ridotto a freddo strumento burocratico una strategia operativa duttile, flessibile, adeguata alle diversità dei contesti di intervento. Sulla validità di questo approccio operativo c’è un dibattito aperto sul quale non mi soffermo in questa occasione, ma – per chi volesse approfondire – rinvio ad un articolo su questa stessa rivista. Quel che sembra ormai evidente a tutti gli osservatori è l’impreparazione del Sistema pubblico italiano rispetto alle necessità di praticare approcci culturali di tipo sistemico-evolutivo, o comunque, più corrispondenti alle dinamiche dei cambiamenti nel nostro tempo. Il punto che qui interessa rilevare è che i giacimenti di risorse territoriali sono vastissimi e sottoutilizzati; le giovani intelligenze sono il polo di risorse che ne fa parte integrante, ma restano inoperose e, molto spesso, mortificate e costrette ad emigrare altrove.
Non è forse questa una contraddizione che ostacola il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi del PNRR e delle politiche comunitarie di Coesione e Sviluppo? Nelle citate esperienze, lavorando sul nesso tra coesione e sviluppo, abbiamo imparato che i territori sono la risorsa primaria e le comunità che li abitano possono essere il lievito per il loro stesso sviluppo, o la causa della loro rovina. Nel tempo che viviamo siamo drammaticamente a questo bivio: sviluppo o rovina? Il “pallino” – si dice – è nelle mani delle nuove generazioni, MA BISOGNA PUR DARGLIELO! Dubito che la loro semplice immissione negli attuali apparati della PA possa produrre avanzamenti. È più probabile che le loro fresche energie rimangano imbrigliate nel reticolo di norme, procedure, apparati che descrivono la complicazione e l’inadeguatezza del Sistema pubblico del ‘900. Le nuove generazioni devono essere messe in condizioni di costituire la leva di una strategia operativa innovante, devono essere incoraggiati ad applicare proficuamente i saperi acquisiti con lo studio e ad esercitare l’intelligenza di cui sono capaci, per affrontare i problemi inediti e complessi del tempo che viene. Come fare se non con strategie di tipo sistemico-evolutive?
Tracce per l’operatività
Il successo di simili strategie ha il suo momento di verifica nella fase di Attuazione. Questa risulta più agevole se le precedenti fasi di Animazione, Programmazione e Progettazione si svolgono adeguatamente. Lo sviluppo territoriale, infatti, è un processo in cui l’accrescimento di valore dipende dalla applicazione di competenze adeguate e connesse tra loro in ciascuna delle sue fasi. Le competenze richieste sono quelle possedute dal polo di risorse giovanili; occorre solo che esse trovino un concreto campo di applicazione in cui operare con una coerente strategia di integrazione che renda complementari i loro apporti. Nel tempo che viviamo il progresso tecnologico offre strumenti molto avanzati che facilitano enormemente le fasi propedeutiche all’attuazione di programmi complessi; basta usarli con perizia, cioè senza illudersi che l’ipertecnicismo possa sostituire l’intelligenza umana. I campi di applicazione non mancano. La domanda di programmi di sviluppo orientati ai luoghi, suggeriti anche dalle politiche comunitarie, cresce man mano che gli Enti Locali si rendono conto delle difficoltà di governare territori e comunità affidati alle loro competenze.
Una innovazione in tal senso è stata introdotta con uno strumento di ultima generazione che si sta perfezionando in alcuni territori della Regione Campania: i Programmi Integrati di Valorizzazione. Il modo per farlo è territorializzare l’Università di saperi accumulati nel corso di decenni di sperimentazione, non solo nelle richiamate discipline e sedi universitarie, ma anche nelle esperienze degli Ordini professionali, degli operatori di campo, di Amministratori e funzionari della Pubblica Amministrazione che si sono cimentati con questa strategia. Con questo capitale sociale di “saperi di contesto” -anch’esso largamente sottoutilizzato- si possono costituire tanti Nuclei Operativi di Attuazione incardinati nella PA locale, in ciascun ambito in cui sia richiesto (e ci siano le condizioni) di promuovere un Programma Integrato di intervento. Organismi in cui si pratichi davvero il learning by doing, ben oltre il mero esercizio di Laboratorio. Sarebbe una scelta vantaggiosa e salutare per i giovani, le Università, le professioni, per le Istituzioni pubbliche che hanno la responsabilità di governare (avere cura) di territori e comunità da esse amministrati.
Va qui richiamato che un generoso tentativo di formare giovani con competenze adeguate è stato fatto dalle Facoltà di Sociologia, Economia e Architettura della Federico II di Napoli. Nell’anno accademico 2005/2006 fu concepito un Master Interfacoltà di 1° livello “Pianificazione dello Sviluppo Locale – Saperi Integrati per lo Sviluppo Territoriale” (D.R. n. 4481 del 24/11/2005). L’iniziativa è stata replicata in successive edizioni, è valsa a diffondere la cultura dell’approccio sistemico-evolutivo tra i giovani laureati nelle diverse discipline, ma molti di questi quadri sono dovuti emigrare per applicare le loro acquisite competenze, o si sono dovuti adattare alle dinamiche settoriali e particolaristiche che dominano la Politica e l’Amministrazione. Quest’ultima amara considerazione chiama pesantemente in causa la responsabilità della Politica, di un Sistema Pubblico che, a seguito dei mutamenti intervenuti a cavallo di secolo, sembra aver smarrito quasi del tutto il principio della unitarietà dello Stato e la coerenza di comportamenti nel perseguimento del Bene Comune. Ciò ha causato sfiducia e il ben noto distacco tra i cittadini e le proprie Istituzioni democratiche. I Nuclei Operativi di Attuazione possono contribuire a colmare anche questo deficit.