OBI-Osservatorio di Economia e Finanza (www.bancheimprese.it) e A.I.M (Alleanza Istituti meridionalisti) (www.aimonline.it) hanno pubblicato il primo rapporto sul PNRR in corso di approvazione a livello delle Istituzioni centrali. I fondi aggiuntivi europei per la ripresa potrebbero rappresentare un’occasione irripetibile per dare impulso al processo di convergenza tra Nord e Sud. Tuttavia le risorse previste nel PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza), limitati al 40% del totale per il Sud, sono assolutamente non congrue, insufficienti e non finalizzate al superamento del gap storico. Tenuto conto che oltre il 60% degli investimenti effettuati nel Mezzogiorno attiva maggiore produzione e occupazione nel resto dell’Italia e all’estero, occorre investire di più a Sud per consolidare i processi di sviluppo territoriale e risolvere il gap infrastrutturale, produttivo e occupazionale.
Pur senza arrivare ad un “whatever it takes” nella distribuzione dei fondi a favore delle aree meno sviluppate del paese, sarebbe più coerente e necessario oltre che definire la percentuale per il Sud, fissare obiettivi concreti in termini di occupazione o produzione aggiuntive. In questo modo, il monitoraggio e valutazione previsti dal regolamento dei fondi europei, che impone il raggiungimento di tutti i traguardi intermedi per l’erogazione dei fondi, incentiverà di fatto la riduzione del divario occupazionale e di produttività tra Nord e Sud.
Il rapporto è solo il primo di una serie di analisi con le quali l’Osservatorio e l’Alleanza seguiranno costantemente lo sviluppo del Piano. Questo primo rapporto è dedicato a descrivere il contesto amministrativo e di governance in cui si cala il PNRR, con i nodi gordiani che, sino ad oggi, hanno frenato la spesa dei fondi europei, evidenziando alcune proposte di modifica e rinnovamento della struttura organizzativa della P.A. e dei suoi gangli fondamentali (con particolare riferimento alla giustizia civile) al fine di accelerare la spesa, nella consapevolezza che il PNRR prevede target attuativi molto stringenti, pena la perdita delle risorse. Il programma di nuove assunzioni a tempo determinato nelle Amministrazioni attuatrici recentemente varato dal governo Draghi è solo una condizione necessaria ma non sufficiente a dare impulso alla capacità di progettazione ed attuazione delle Pubbliche Amministrazioni.
L’analisi dei principali fabbisogni di sviluppo del Mezzogiorno, inquadrati nelle Missioni che costituiscono il PNRR, per valutare la coerenza fra criticità e strategia programmatica, è un punto nodale del rapporto. Ne emerge un quadro di altissima coerenza fra struttura fondamentale del PNRR e fabbisogni di sviluppo del territorio meridionale, che accentua ulteriormente l’esigenza di cogliere tale occasione come una irripetibile chance di riduzione del gap di sviluppo con il Centro-Nord. Tutte le Missioni del PNRR, dalla Crescita sostenibile ed inclusiva alla Transizione verde, devono avere un impatto maggiore sui fabbisogni di sviluppo del Mezzogiorno. Sebbene non sia ancora disponibile la versione integrale del nuovo piano, il governo ha diffuso le schede che presenterà al Consiglio dei Ministri del 23 aprile. Rispetto al precedente, la principale novità riguarda un fondo di 30 mld. finanziato con risorse nazionali, non soggetto alle condizionalità del NGEU, che si affianca ai fondi europei. Quest’ultimo sarà comunque monitorato con strumenti simili a quelli previsti per i fondi europei. Il totale delle risorse a disposizione arriva così a 221,5 miliardi, dei quali 122,6 di prestiti, 68,9 a fondo perduto e il resto finanziato in deficit.
Sono stati confermati gli assi di intervento (missioni) individuati nel piano precedente: digitalizzazione e innovazione (con uno stanziamento di 42,5 mld., pari al 22% del totale); green economy (con 57 mld., il 30% del totale); infrastrutture per una mobilità sostenibile (25,3, pari al 13%); istruzione e ricerca (con 31,9 mld., il 17% delle risorse); inclusione e alla coesione (19,1 mld., l’8,6% del totale); salute (15,6 mld. e l′8% del totale). Rispetto alla versione precedente, sono stati finanziati in misura maggiore l’istruzione e la ricerca. Il Fondo aggiuntivo andrà a finanziare una trentina di progetti, soprattutto il green (11,7 mld.); la sanità (3 mld.); il superbonus (8 mld.); digitale e alla mobilità (6,13 miliardi, di cui 1,4 per banda larga e 5G); inclusione e coesione (3 mld.). Il piano prevede alcune riforme “abilitanti”, come quella della giustizia (per ridurre la durata dei processi) e della Pubblica amministrazione (che include le semplificazioni e una revisione del Codice degli appalti).
Sintesi degli interventi previsti:
La governance dei fondi europei prevede che il ministero dell’Economia curi il monitoraggio e la rendicontazione dei fondi e il controllo dello stato di avanzamento dei progetti, in qualità di “punto unico” per i rapporti con la Commissione, anche se saranno i ministeri e gli enti locali a realizzare materialmente gli investimenti e le riforme secondo il cronoprogramma concordato. Nelle schede presentate dal governo, si segnalano interventi specifici per il Sud, relativi alla digitalizzazione della PA e al cablaggio; l’Alta velocità ferroviaria (con le tratte Roma- Bari, Salerno-Reggio Calabria, Roma-Pescara, Palermo-Catania-Messina, Taranto-Battipaglia, Napoli-Bari); la manutenzione delle strade e il rinnovamento degli edifici scolastici e dei presidi ospedalieri.
Nel complesso il piano dovrebbe garantire una crescita del livello del Pil pari al 3% al termine dei 6 anni, che tuttavia non potrà essere sufficiente a riavviare il processo di convergenza dell’economia del Mezzogiorno verso gli standard nazionali. Più nello specifico, la Commissione Europea ha ribadito in termini di linea politica in sede di varo del Next Generation Ue, che il riequilibrio del gap di sviluppo fra Mezzogiorno e Centro-Nord è uno degli obiettivi delle risorse del Recovery Fund. Intervenendo all’iniziativa “Sud – Progetti per ripartire” promossa dal Ministro per il Sud e la Coesione territoriale, Mara Carfagna, il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha confermato che tra le priorità del Recovery Plan c’è l’obiettivo di far ripartire la convergenza tra Mezzogiorno e Centro Nord, fermare il divario e recuperare la fiducia nella legalità e nelle istituzioni (scuola, sanità, giustizia, etc.), nonché dirigere i fondi soprattutto verso donne e giovani.
Occorre quindi che, in sede di redazione del programma, si passi dalle parole ai fatti. Ciò che si sa al momento della redazione del presente rapporto, che è precedente alla presentazione della versione ufficiale del PNRR, è che le risorse del Recovery Fund verranno destinate per il 40% alle regioni meno sviluppate del prossimo ciclo di programmazione dei fondi SIE (Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna). Si tratta di una percentuale che, di per sé, non potrà garantire alcun significativo recupero del gap di sviluppo, considerando anche un impatto sulla crescita complessiva piuttosto modesto, e comunque di gran lunga inferiore alla caduta registrata, soprattutto a Sud, nel Pil degli ultimi 12 anni. Infatti, da un lato, è dimostrabile che gli investimenti pubblici al Sud, di fatto, vengono in larga misura diretti verso i sistemi produttivi “fornitori” del Centro-Nord (se non del reato del mondo). E’ opportuno riportare una stima della capacità produttiva attivata in ciascuna regione da un investimento al Sud, preso dal rapporto di Srm “L’interdipendenza economica e produttiva tra il Nord ed il Sud Italia”, 2014, Giannini editore.
Produzione attivata dagli investimenti fissi lordi del Mezzogiorno
Fonte: SRM- Studi e Ricerche per il Mezzogiorno
Il grafico mostra che un investimento effettuato al Sud riesce a mobilitare risorse significative non solo nelle maggiori regioni dell’area, ma, per un ammontare complessivamente quasi equivalente in Lombardia, Veneto, Emilia e Romagna, Piemonte e Centro Italia, dove sono collocate molte delle imprese che materialmente producono, istallano o manutengono i beni di investimento richiesti nel Mezzogiorno. Nel complesso, il rapporto stima che solo il 40% degli investimenti effettuati al Sud attivi produzione e occupazione nelle regioni di origine, contro il 50% circa nel resto del paese e poco meno del 10% di importazioni dall’estero. L’opposto sembra avvenire per gli investimenti effettuati nel centro-nord, che attivano essenzialmente la capacità produttiva delle regioni interessate, come mostra il grafico successivo, tratto dallo stesso rapporto. Ogni investimento effettuato in quest’area produce infatti un ritorno sul territorio che sfora il 90%, con uno spill-over inferiore al 5% nel Mezzogiorno e dell’ordine del 10% sull’estero. Questo significa che, per attivare la stessa capacità produttiva sul territorio è necessario investire quasi due volte in più al Sud che al Nord.
D’altro lato, i dati empirici relativi all’utilizzo dei fondi strutturali mostrano che non vi è stato sin qui alcun recupero del gap di sviluppo. Come mostra la Svimez, il Mezzogiorno si è allontanato progressivamente dal resto del Paese dal 2008 per effetto di fasi recessive più profonde e ripartenze più lente. Fra 2008 e 2019, infatti, il Pil meridionale è diminuito del 10%, a fronte di un calo di soli 1,7 punti nel Centro-Nord. Tutto ciò nonostante il 69-70% dei fondi per le politiche di coesione venisse attribuito, in ogni ciclo di programmazione, alle regioni meno sviluppate del Meridione.
A tale risultato trova giustificazione in una storica scarsa velocità di spesa dei fondi nelle regioni meridionali. D’altro lato, però, risulta anche carente la qualità, quindi l’efficacia, della spesa stessa, complice anche l’assenza di un efficace sistema di valutazione in itinere della stessa, in grado di attivare efficaci riprogrammazioni. Tutto ciò premesso, è quindi evidente che una percentuale del 40% di spesa del PNRR destinata al Sud, come anticipato dal Governo, è di per sé incongrua e insufficiente a garantire un effettivo recupero del gap di sviluppo e di miglioramento delle condizioni di contesto. Ci si sarebbe aspettati un “whatever it takes” anche per la quota di risorse da impiegare per il riequilibrio del territorio basati su obiettivi concreti di crescita dell’apparato produttivo, di riduzione del gap infrastrutturale e di crescita dell’occupazione, obiettivi che restano allo stato indefiniti sia in termini di programmazione, che in termini di controllo dei risultati. Desta ulteriore preoccupazione la possibilità che una buona parte di questo 40% abbia un effetto sostitutivo e non aggiuntivo, in quanto sarebbero finanziati progetti infrastrutturali già avviati e che avevano le dovute coperture.
Sarà, ovviamente, anche necessario garantire una maggiore qualità della spesa stessa, il che riviene a: avere una qualità delle istituzioni pubbliche più alta a cominciare da quelle meridionali, con una migliore capacità professionale di progettazione e gestione dei fondi; modificare le normative in materia di lavori pubblici, appalti e giustizia civile ed amministrativa al fine di snellire e velocizzare le procedure; concentrare gli investimenti su pochi obiettivi strategici dotati di un effetto-leva, in termini di impatto, molto significativo, evitando la distribuzione a pioggia tipica delle micro-lobby territoriali; implementare un meccanismo di valutazione degli effetti delle politiche condotte in grado di seguirle “in continuo”, fornendo quindi gli opportuni suggerimenti volti ad assicurare il raggiungimento di obiettivi di crescita del Pil, dell’occupazione e del reddito-pro capite significativamente superiori a quelli del Centro-Nord. Per superare le distorsioni evidenziate in precedenza, uno degli obiettivi strategici del PNRR dovrà essere declinato in termini di crescita dell’occupazione, piuttosto che di quota di investimenti, con un differenziale a favore del Sud tale da colmare il gap esistente, stimabile in circa 3 milioni di occupati.
Sintesi del rapporto
Era il 5 giugno 1947 quando all’Università di Harvard il Segretario di Stato americano George Marshall, annunciò in un famoso discorso la decisione di avviare un robusto piano di aiuti per l’Europa, ufficialmente denominato “European Recovery Program” (ERP). Nell’esecuzione del citato Piano, noto come Piano Marshall, ebbe una partecipazione attiva il celebre economista keynesiano Federico Caffè. Il governo italiano che ha avuto avvio il 13 febbraio 2021 ha iniziato a riscrivere il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), impropriamente definito Recovery fund, messo a punto dal precedente Esecutivo: il documento, definisce gli obiettivi, le riforme e gli investimenti che l’Italia vuole realizzare con i fondi europei di Next Generation EU. Il presidente del Consiglio in carica è Mario Draghi che ebbe proprio il celeberrimo Professore Federico Caffè relatore della sua tesi di laurea. Le analogie storiche date dal collegamento dei due professori e dall’assonanza dei noti documenti socio-economici sono molto affascinanti e forti. Quanto ai Piani, in particolare, giova rammentare che sono totalmente differenti.
Per fronteggiare i danni economici e sociali causati dalla pandemia di SARS-coV 2, la Commissione europea, il Parlamento europeo e i leader dell’UE hanno concordato un piano di ripresa che aiuterà l’UE ad uscire dalla crisi gettando le basi per un’Europa sostenibile. Per ricostruire l’Europa dopo la pandemia di COVID-19 verrà stanziato un totale di 1 800 mld di euro. Il bilancio a lungo termine dell’UE, unito a NextGenerationEU, lo strumento temporaneo pensato per stimolare la ripresa, costituirà il pacchetto di misure di stimolo senza precedenti finanziato dall’UE. Al momento in cui si scrive questo rapporto, i dettagli della nuova versione del PNRR a cura del Governo Draghi sono ancora in fase redazionale, per cui non si conoscono i progetti e non è ancora noto il piano finanziario del programma. Non è quindi ancora possibile effettuare una valutazione ex ante dei possibili risultati ed impatti attesi del PNRR, con particolare attenzione al Mezzogiorno. Tale esercizio sarà, infatti, oggetto di una successiva analisi che l’Osservatorio Banche Imprese condurrà, sulla scorta della sua specifica esperienza e conoscenza di ricerca e valutazione delle politiche di sviluppo del territorio meridionale.
In questa sede, si presenterà una prima, ed ovviamente del tutto parziale, panoramica dei possibili problemi di gestione ed attuazione del PNRR, rivenienti dall’esperienza di gestione dei Fondi europei da parte delle nostre AAPP ed alcune proposte di miglioramento. Inoltre, si illustrerà una prima correlazione fra i fabbisogni di sviluppo del Mezzogiorno e le Missioni programmatiche attorno alle quali è organizzato il PNRR, al fine di illustrare la coerenza fra la struttura di base del programma e le priorità di sviluppo del nostro Sud.
Come è possibile constatare fra articolazione programmatica del PNRR e priorità di sviluppo del Meridione, le Missioni relative a crescita sostenibile, digitalizzazione e transizione verde sono quelle che catturano il maggior numero di priorità di sviluppo del Sud, seguite, a breve distanza, dalla coesione sociale e territoriale. Ma, in generale, tutte le missioni del PNRR hanno una elevata capacità di intercettare i fabbisogni di sviluppo del Sud.
L’esigenza di rilanciare gli investimenti e quella di sostenere le aree interne sono le due indirizzi che vengono coinvolte dal maggior numero di Missioni del PNRR (per la prima, sono coinvolte le Missioni relative a crescita sostenibile e politiche per le nuove generazioni in forma primaria, transizione verde, digitalizzazione e sanità in forma indiretta; le aree interne potranno beneficiare delle Missioni relative a crescita sostenibile e coesione sociale in forma primaria, transizione verde, digitalizzazione e politiche per le nuove generazioni in forma secondaria). Tuttavia, anche le priorità riferite a decarbonizzazione, economia circolare, sistema idrico ed efficienza energetica ed in generale blue economy, connessione fra ricerca pubblica ed imprese, sanità, scuola e formazione, risultano trasversali a una molteplicità di Missioni del PNRR.
Tutto ciò indica come la struttura specifica del PNRR sia particolarmente adeguata ad affrontare la sfida dello sviluppo del Sud.
Tale sfida dovrà essere gestita con strumenti pubblici ed amministrativi diversi e più efficienti rispetto al passato. In particolare, fra le raccomandazioni più importanti emerse in fase di analisi, figurano le seguenti:
- Maggiore chiarezza sulla governance e il controllo interno dei progetti. Pur tenendo conto delle specificità nazionali (che vedono paesi membri federali e accentrati, caratterizzati da sistemi amministrativi molto differenti), sarebbe stato opportuno che la Commissione desse qualche indicazione più chiara circa i diversi livelli di responsabilità nella formulazione e gestione dei progetti;
- Un modo di lavorare diverso nelle PPAA, che implica una radicale semplificazione delle procedure e della catena organizzativa e delle responsabilità;
- Una revisione complessiva di assetti, responsabilità e articolazione del sistema degli enti pubblici, mirata ad una decisa semplificazione ed all’eliminazione di duplicazioni, sovrapposizioni e passaggi inutili;
- Un modello diverso, anche di tipo straordinario (cioè legato al solo utilizzo dei fondi europei o anche del solo PNRR) di gestione delle procedure di appalto e delle opere pubbliche in generale
- L’estensione al Recovery Plan di una serie di misure di semplificazioni derogatorie al Codice degli Appalti, originariamente pensate esclusivamente per il periodo della pandemia, ovvero: la previsione, per l’affidamento di contratti di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria, di cui all’art. 35 del citato Codice, di procedure “derogatorie” al Codice dei contratti pubblici (D.lgs. 50/2016); limiti di tempo per l’attività del RUP; stazioni appaltanti che operano “in deroga” ad ogni disposizione di legge, fatto salvo il rispetto delle normative penali, antimafia e di prevenzione o vincoli inderogabili derivanti da EU;
- L’adozione di tecniche di project management;
- La costruzione di indicatori che evidenzino ex-ante potenziali colli di bottiglia o rallentamenti nell’iter attuativo.
- Azioni volte a garantire adeguati livelli di competenza delle stazioni appaltanti, a partire dalle misure di qualificazione della committenza previste dal CCP;
- Un Fondo Nazionale per le progettazioni, da erogare ai Comuni ed agli enti locali più deboli.
- Specifiche riforme mirate sulla giustizia. In tal senso, se certamente la digitalizzazione dei processi civili aiuterà a ridurre tempi amministrativi e di circolazione degli atti, sarà però necessario, da un lato, assumere maggiori quote di personale amministrativo e di magistrati in forma stabile. Dall’altro, però, la formazione sulla gestione telematica dei procedimenti dovrà essere potenziata ed estesa. D’altro canto, è necessario ridurre il carico di lavoro per i Tribunali, in un Paese caratterizzato da una insolita litigiosità giuridica ricorrendo a modifiche normative che prevedano procedure di arbitrato extragiudiziale obbligatorie al di sotto di determinate soglie economiche, con esito che va a sostituire la sentenza.