Giuseppe Pirozzi: un poeta meridionale della scultura

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In occasione della mostra  “Giuseppe Pirozzi. L’atelier dello scultore“, in programma dal 16 settembre al 6 gennaio 2025 al museo di Capodimonte di Napoli, riproponiamo un’intervista concessa dall’artista a Politica meridionalista.

 

Giuseppe Pirozzi, scultore partenopeo, è una delle figure chiave del panorama artistico meridionale. La sua prolifica attività artistica inizia molto precocemente, sospinta da una spiccata sensibilità estetica che si esprime nell’osservazione e nella spontanea restituzione grafica e scultorea degli aspetti più intimi e poetici dell’ambiente naturale e domestico. Dopo gli studi al Liceo Artistico di Napoli, dove ha come maestro e mentore lo scultore Antonio Venditti, frequenta il Corso di Scultura all’Accademia di Belle Arti di Napoli (1954-58) di Alessandro Monteleone e poi di Emilio Greco. Ha modo così di acquisire una piena consapevolezza nell’arte scultorea che gli consente di affrontare la realizzazione delle prime sculture in bronzo, suo medium d’elezione. Nei primi anni della sua ricchissima produzione le sue opere sono segnate da una personale impronta figurativa che si caratterizza sempre più per il distintivo tratto poetico. La sua vena artistica continua negli anni affinandosi sempre più e confrontandosi con sempre maggiori fonti di ispirazione, nonché con nuove tecniche e materiali, che lo portano ad allontanarsi progressivamente dalla rappresentazione figurativa per privilegiare l’indagine sulla materia. Insignito di numerosi premi e riconoscimenti, nel corso degli anni ha esposto le sue opere in numerose mostre in Italia e all’estero, attirando l’attenzione di illustri critici d’arte. Nel 1980 ha ricevuto il Premio “Guido Dorso” per la Sezione Cultura e nel 1988 ha realizzato la piccola scultura che da allora è divenuta simbolo del Premio.

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Giuseppe Pirozzi – Scultura Premio Guido Dorso

L’arte della Scultura, può considerarsi una delle forme d’arte più elevate e sublimi, dalla tradizione millenaria. Cosa rappresenta per Lei?

Ammetto la mia difficoltà a rispondere a questo interrogativo ogni qualvolta mi viene posto e confesso che – sempre più spesso in questi ultimi anni in cui con l’età ci si concede il “lusso” della leggerezza – a me viene in mente l’episodio intitolato Le vacanze intelligenti, nel film Dove vai in vacanza? diretto da Alberto Sordi nel 1978. In quel film una coppia di turisti romani – Remo e Augusta, sprovveduti in materia d’arte contemporanea – accetta di farsi organizzare le vacanze dai figli, laureandi. A un certo punto dell’itinerario programmato, i due finiscono per visitare la mostra d’arte contemporanea alla Biennale di Venezia del 1978 rimanendone delusi e perplessi. Dopo aver attraversato il viale di ingresso ai giardini, vedendo una guida parlare a un gruppo di persone ferme a osservare un muro – opera dello scultore Mauro Staccioli esposta in quella edizione della Biennale – Augusta chiede al marito Remo di cosa stia parlando quella guida. E lui, molto lucidamente, risponde: E che dice? Spiega, no? Spiega ’e cose che noi non potèmo capi’. Poco dopo una sosta di Augusta in una sala della mostra genera un equivoco paradossale (e molto comico), alimentato dal conflitto tra opposti piani di osservazione dello stesso “oggetto” esposto. Ecco, quando mi chiedono cosa rappresenti per me la scultura penso sempre alla difficoltà in generale di discernere su cosa sia l’Arte in generale, e dunque la Scultura. Ma, volendo trovare una risposta, mi sembra che quella più vicina al mio modo di intendere la scultura sia che essa – la scultura – è il mezzo che ho utilizzato per “ricostruire me stesso” e al tempo stesso lo strumento di cui io per primo mi servo per interpretare le mie emozioni. In questo senso, essa affonda le proprie radici nella mia infanzia, nella mia memoria, per questo dico anche che, insieme alle mie mani, io ho sempre adoperato tutti e cinque i miei sensi. La mia Scultura è stata, è, e sarà sempre, per me, il medium attraverso il quale affronto, oserei dire fronteggio, la fragilità del vivere e la difficoltà di provare amore per l’altro ed esserne ricambiato. Per questo ho scelto la scultura più che la pittura, perché questa, per me, è la forma d’arte che mi consente il maggiore controllo della materia e la possibilità di plasmarla secondo il mio immaginario, il mio animo e dunque i miei sentimenti.

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Giuseppe Pirozzi – “Respiro”

Quando e come ha deciso di intraprendere questo percorso artistico?

Devo dire che la mia strada è stata annunciata piuttosto precocemente da una spiccata sensibilità estetica manifestatasi in me sin dall’infanzia attraverso la tendenza all’osservazione e alla restituzione, per mezzo dei linguaggi grafico e scultoreo, degli aspetti più intimi e poetici del “piccolo” mondo della provincia rurale nel quale sono cresciuto. Dopo gli studi al Liceo Artistico di Napoli – dove ho avuto come maestro e mentore lo scultore Antonio Venditti – ho deciso di proseguire la formazione artistica all’Accademia di Belle Arti di Napoli, dove ho frequentato il Corso di Scultura (1954-58) di Alessandro Monteleone e poi di Emilio Greco. Ho avuto così modo di acquisire una piena consapevolezza tecnica nell’arte scultoria che mi ha consentito di spaziare tra diverse metodologie e materiali e di affrontare poi la realizzazione delle prime sculture in bronzo con fusione a cera persa presso la fonderia artistica Di Giacomo, alle Fontanelle ­– che da allora è rimasta la mia fonderia di riferimento – dove ho imparato la modellazione direttamente in cera e ho eseguito alcune grandi sculture.

Quali sono state le tappe salienti della sua attività?

Più che di tappe parlerei piuttosto di incontri e di occasioni significative dalle quali sono scaturite conseguenze determinanti. Ricordo, ad esempio, i miei maestri Antonio Venditti prima ed Emilio Greco poi, che hanno saputo stimolarmi ad esprimermi con il linguaggio scultoreo accendendo in me, attraverso il loro appassionato esempio, una vera e propria “vocazione”. Poi i critici – come Lea Vergine, Giuseppe Appella, Luigi Carluccio, Luciano Caramel, Enrico Crispolti, Giorgio Di Genova, Vitaliano Corbi e tanti altri – che in momenti diversi del mio percorso hanno saputo interpretare e valorizzare la mia ricerca artistica invitandomi a partecipare ad eventi espositivi nazionali e internazionali e dedicando alla mia esperienza una particolare attenzione critica, attraverso la quale ho potuto frequentare ambiti culturali lontani da quello mio d’origine.

Come nasce un progetto creativo?

Di norma, nel mio lavoro, la creazione non nasce mai da un progetto strutturato. Anche lì dove ci sono degli intenti aprioristici, come una specifica destinazione o le richieste di una committenza, approccio la scultura direttamente plasmando l’argilla e lasciando che la forma scaturisca da sola dalle mie mani e dall’immagine mentale che accompagna il processo poietico. D’altro canto non sono mai stato il tipo d’artista – che oggi va per la maggiore – che demanda a terzi l’esecuzione materiale della propria idea, ma ho sempre curato le complesse fasi del processo esecutivo in prima persona. Tuttavia, nel mio percorso professionale ho lavorato a numerose opere pubbliche in qualità di vincitore di concorsi nazionali e naturalmente in quei casi ho dovuto per forza di cose articolare il mio lavoro in due fasi: una progettuale, di realizzazione del bozzetto in scala ridotta, e una successiva, di esecuzione dell’opera vera e propria. Anche in questi casi però la creazione della scultura nella sua forma definitiva ha sempre contemplato infinite possibilità di sviluppo e di variazione all’idea iniziale, così da consentirmi quelle libertà, spontaneità e autonomia che sono condizioni imprescindibili del mio lavoro.

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Giuseppe Pirozzi – “La Ragione-Sogno” – 1994

Da cosa si lascia ispirare?

La mia scultura è sempre stata profondamente autobiografica e le mie opere affondano le proprie radici nel rapporto viscerale con la natura, coltivato sin dall’infanzia, e nella relazione umana con la mia famiglia, con i miei cari e con coloro che ho incontrato nel mio cammino. L’ispirazione, poi, si trova in ogni luogo e in ogni momento se la realtà è vissuta in “presenza”. Che si tratti della piccola gioia che mi procurano i passeri alla “mensa” che allestisco per loro sul balcone di casa, dell’irritazione per un kleenex gettato a terra con noncuranza, della serenità dello sguardo che si perde nel mare dal molo di Amalfi, del dolore per macerie di un paese in guerra raccontato dai media, della melanconia di un oggetto desueto che fa affiorare un ricordo d’infanzia, dell’indignazione per le parole caustiche del politico di turno… ogni evento suscita emozione e l’emozione è energia da cui nascono cose. Ecco allora che, oramai da molti anni, la pratica del fare arte è una modalità per sublimare e rielaborare in forme plastiche gli stimoli prodotti dal presente, una sorta di meditazione attraverso la quale sedimentare l’esperienza del vissuto – e quindi del pensiero e della memoria – per poi riformularla in linguaggio espressivo, così da conferirle una dimensione estetica tangibile e da farne lo strumento di una comunicazione.

Quali sono le principali tecniche scultoree di cui si avvale?

Dopo la sperimentazione su molteplici materiali (gesso, piombo, amianto, cera) dei miei esordi, negli anni Cinquanta e Sessanta, ho scelto il bronzo come medium d’elezione e mi sono dedicato per una vita prevalentemente alla scultura in bronzo fuso a cera persa, conquistando una sempre maggiore padronanza di questa tecnica, anche con l’introduzione di idee e procedimenti personali. Dagli anni Duemila tuttavia, gradualmente, la scultura ceramica – alla quale mi ero occasionalmente rivolto “per divertimento” negli anni Settanta – ha conquistato uno spazio crescente nel mio orizzonte creativo e oggi la terracotta, spesso ingobbiata, costituisce la materia prevalente delle mie sculture, tanto che queste ultime hanno catturato una particolare attenzione anche da parte della critica d’arte del settore: penso ad esempio agli omaggi nelle ultime edizioni della Biennale di Scultura Ceramica Contemporanea Keramikos, curate da Lorenzo Fiorucci, o alla recente copertina dedicatami da La Ceramica Moderna&Antica o ancora alla mia prevista partecipazione con una mostra personale alla prossima edizione di Argillà a Faenza.

Ci può spiegare i tempi tecnici di realizzazione di una scultura?

Per rispondere a questa domanda ci vorrebbe un trattato… posso però invitare i lettori che ne abbiano curiosità o interesse a cercare su YouTube il bellissimo video realizzato da mia figlia Francesca e intitolato Genesi di una scultura di Giuseppe Pirozzi. Si tratta di una sequenza di immagini commentate che documenta le numerose e complesse fasi di realizzazione della scultura monumentale in bronzo fuso a cera persa e marmo da me realizzata nel 2011, in quanto vincitore di un concorso pubblico, e installata al Porto Borbonico del Granatello di Portici (Napoli).

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Giuseppe Pirozzi -“Omaggio ad Allende” -1973

Si definirebbe un artista “moderno”? Nel suo percorso, quanto conta la tradizione e che importanza riveste invece l’innovazione?

Sempre più spesso avverto la netta sensazione di essere un uomo di un altro tempo e altrettanto spesso nel mio conversare mi ritrovo a rivendicare la mia appartenenza al Novecento a “giustificazione” del mio straniamento rispetto a questo o quell’accadimento del presente. Tanto più ciò è vero nel campo dell’arte: la sua pratica, il suo insegnamento, la sua valutazione critica e di mercato rispondono oggi a principi e valori radicalmente diversi da quelli ai quali mi hanno formato i miei maestri, nei quali ho creduto per una vita e che ho cercato di trasmettere nella mia lunga esperienza di docente all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Proprio la fondamentale conoscenza del passato e della tradizione è la chiave per costruire il futuro e per farlo in maniera originale e innovativa, in quanto partire dalla consapevolezza che “tutto è stato già fatto” è una grande lezione di umiltà e allo stesso tempo una grande spinta per andare avanti. Senza questa consapevolezza e senza lo studio e la conoscenza del passato l’arte è pura vacuità.

Che messaggio cerca di trasmettere attraverso le Sue opere?

Più che di messaggio, preferisco parlare di testimonianza, nel senso che non mi sono mai posto il problema o l’obiettivo di trasmettere un messaggio. Il messaggio è l’opera d’arte in sé stessa. Credo piuttosto che il fine della mia attività artistica sia sempre – sottolineo sempre, perché è ciò che accomuna il mio primo lavoro a tutti quelli che ne sono seguiti e che mi auguro seguiranno ancora – il portare testimonianza. In altre parole, l’opera rappresenta la mia “versione dei fatti” di ciò che è accaduto – spesso dentro di me – e/o di ciò di cui sono stato spettatore. Di conseguenza, io non sono altro se non un testimone. Sono persuaso, d’altro canto, che il racconto e la condivisione consapevole di un fatto e delle emozioni che ne scaturiscono, sia un’occasione preziosa di emancipazione del soggetto narrante, una forma di “liberazione” che finisce per coinvolgere anche i fruitori del racconto/opera.

Quali sono i concetti di spazio e tempo nell’arte della scultura?

La Scultura è per definizione una pratica artistica che si sviluppa nello spazio tridimensionale e le mie sculture, anche quando sono concepite per una visione prevalentemente frontale, sono sempre pensate in modo da essere fruite a tutto tondo così da intrattenere un dialogo con lo spazio nel quale sono collocate. Quanto al tempo, posso dire che nella mia scultura il concetto di tempo ha da sempre un ruolo centrale, in quanto esso ricorre come dimensione della storia, della memoria e del passato, evocata da forme che alludono al patrimonio culturale ed esperienziale collettivo, ma al tempo stesso come prospettiva aperta verso futuri sviluppi.

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Giuseppe Pirozzi – “Colloquio-Intimo”- 1961

La critica d’arte Marina De Stasio, nell’osservare le Sue opere, le ha definite come uno “stream of consciousness”, un accavallarsi di immagini e sensazioni, anche diverse e contrastanti. Cos’è per Lei il concetto di unità e quello di frammentarietà?

Le parole di Marina De Stasio pongono in evidenza un duplice aspetto delle mie sculture: da una parte la commistione apparentemente caotica di elementi frammentari della figurazione, dall’altra la coerente e conforme continuità che lega non soltanto tali elementi al tutto, ma addirittura le mie diverse sculture tra loro, così da rappresentare un fil rouge del lungo percorso di ricerca attraverso la scultura da me condotto dalla metà degli anni Cinquanta ad oggi. Ritengo che, effettivamente, l’idea del “frammento” sia centrale nel mio linguaggio e profondamente radicata non solo nella mia memoria – penso alle rovine della guerra vissuta da bambino, ai ruderi archeologici scoperti da adolescente, alle frequentazioni di studio al Museo Archeologico, alle stratificazioni del Centro Antico di Napoli, presto divenuto il mio posto del cuore – ma addirittura nella mia forma mentis, nel mio modo di analizzare e processare la realtà per segmenti. In tal senso, le mie sculture possono leggersi come un tentativo di sintesi della molteplicità ad un unicum.

Della sua ricca produzione fanno parte anche dei gioielli, miniature d’arte, pezzi unici di grande valore, come affiora nel corso del Suo percorso il concetto di arte da indossare?

Esattamente: si tratta di sculture e non di monili, sebbene esse possano esser indossate. Ho iniziato la produzione di queste sculture da indossare sul finire degli anni Settanta, proseguendo la mia ricerca plastica volta a concentrare in un volume ridotto una serie di immagini nitide e insieme energiche (come scrisse Vitaliano Corbi). Si tratta, perciò, sempre di pezzi unici, modellati e fusi a cera persa e realizzati in argento e/o oro; talvolta inserisco nell’anello, bracciale, pendente o spilla, talune pietre dure o gemme.

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Giuseppe Pirozzi – pendente spilla – 2005

Lei ha affermato: “Ho allontanato l’immagine fisica dalla schiavitù della sua praticità per sintonizzare una visione immagine-ricordo, miscelandola entro emblemi allusivi ed attaccandola in sporadiche parvenze d’azioni”. Qual è il valore del simbolo nella Sua Arte?

Il simbolo ha sempre un valore primario nell’arte e ogni opera offre sempre molteplici livelli di lettura. Di solito, ad un primo approccio la mia scultura si rivela come sommatoria di elementi iconografici che rimandano a visioni del reale e dell’immaginario: i caratteri alfanumerici che sono disseminati sul corpo della scultura, i frammenti astratto-geometrici, anatomici o di nature morte che emergono dalla massa informale, rappresentano altrettanti rimandi al mondo visibile, ma immediatamente ciascun segno si offre anche come simbolo o allusione che rinvia a significati e valori altri. In questo modo, una volta decostruita e ricostruita nella sintassi artistica, l’immagine della realtà diviene idea e ciascuno può trovare in essa una rappresentazione simbolica del proprio vissuto e del proprio modo personale di sentire e abitare il mondo.

E, a proposito di simboli, le Sue opere sono ormai un emblema del Premio Internazionale Guido Dorso, uno dei più ambiti riconoscimenti a coloro che contribuiscono con il loro impegno e le loro attività a sostenere le esigenze di sviluppo e di progresso del Mezzogiorno d’Italia. A cosa si ispira l’opera che rappresenta il premio nello specifico?

Nel 1980 sono stato premiato con Premio “Guido Dorso” per la Sezione Cultura e nel 1988 ho realizzato la piccola scultura divenuta simbolo del Premio che rientra nelle esperienze plastiche dominate dal concetto di germinazione tipiche del mio lavoro di quegli anni. Su di una faccia della scultura, concepita a mo’ di medaglia, ho inserito la firma dell’illustre meridionalista Guido Dorso. Da tale elemento si dipartono forme germinative, la cui spinta ascensionale allude a una crescita e/o rinascita. Le ramificazioni di questa germinazione si sviluppano dall’elemento circolare e, tra pieghe e rientranze, generano un andamento di tensione verso l’alto che rimanda alle spinte meridionalistiche che si proiettano nell’avvenire.

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Giuseppe Pirozzi riceve il Premio Guido Dorso – 1980

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Lorena Coppola