L’insostenibile pesantezza della mobilità

Con la pandemia abbiamo riscoperto quanto sia prezioso e necessario muoversi. Per i passeggeri e per le merci gli spostamenti e la connettività sono qualificazioni fondamentali per fruire della libertà e per assicurare il normale flusso della logistica. Il libro di Stefano Maggi, “Mobilità sostenibile. Muoversi nel XXI secolo, Il Mulino, 2020”, ci aiuta a ripercorrere le discussioni sui modelli organizzativi per il trasporto, analizzandone anche le ricadute sotto il profilo della resilienza. Nel tempo, la struttura dei mezzi di trasporto si è trasformata in profondità. Nel 1948 gli autoveicoli (automobili camion, bus) in circolazione in Italia erano 415.272 e sono saliti a 44,8 milioni nel 2018: sono più che centuplicati in appena settanta anni. Ancor prima, nel 1933, si contavano in Italia quasi 3,5 milioni di biciclette contro 293.000 autoveicoli e 125.000 motocicli. Sempre in quell’anno vi erano quasi 723.000 veicoli con trazione animale.

Nel 2000 si muovevano negli aeroporti italiani 92,44 milioni di passeggeri e 801.855 tonnellate di merci. Nel 2019, i passeggeri erano più che raddoppiati, con 193 milioni; le tonnellate di merci erano aumentate del 27%, arrivando a 1,1 milioni. Nei tempi più recenti, mentre continua a crescere il numero delle automobili (da 30,3 a 39,5 milioni tra i 1995 ed il 2019, nello stesso periodo si è quasi triplicato il numero dei motocicli (da 2,4 a 6,9 milioni). Da qualche decennio siamo entrati in un modello di iper-mobilità, che consiste nel muoverci sempre di più con tutti i mezzi, compresi gli aerei. Lo stesso vale per le imprese – e per la produzione manifatturiera – che, per arrivare al prodotto finale, gestiscono un transito continuo di merci da un angolo all’altro del mondo. La logistica è diventata uno dei motori alla base della globalizzazione.

Per effetto di questi mutamenti strutturali è cambiata profondamente la struttura dei consumi di energia per settore di attività: nel 1990 l’industria presentava il consumo più elevato, pari a 370 mega tonnellate di petrolio equivalente, seguita dai trasporti (284,3 milioni) e dagli usi domestici (274 milioni). Nel 2016 i trasporti sono passati in testa, con 367,3 milioni, seguita dagli usi domestici con 284,8 e dall’industria con 276,8 milioni. Cambiare traiettoria risulta operazione sempre particolarmente complessa: quando si produce un fenomeno insostenibile è molto difficile ricondurlo alla sostenibilità. Per troppi decenni, l’obiettivo nel settore dei trasporti è stato focalizzato sulla diffusività dei collegamenti mediante la crescita della mobilità stradale per i passeggeri per le merci, a danno dei trasporti collettivi e della intermodalità.

A seguito di questo assetto, i trasporti sono diventati una voce primaria nel paniere della spesa delle famiglie: nel 2018 la spesa media mensile delle famiglie per i trasporti era pari all’11,4% del totale, preceduta solo dai prodotti alimentari (18%) e dall’abitazione, comprensiva di bollette ed imposte (35,1%). Cresce anche lo spazio necessario per le automobili, per effetto della loro maggiore dimensione. Occorrono oggi 12,5 metri quadrati per posto auto, in totale 25 metri quadrati, considerando lo spazio di manovra. Si calcola che un’auto rimanga parcheggiata, in media, per il 92% del suo ciclo di vita.

Il costo della mobilità individuale su gomma si traduce anche in un elevato tasso di mortalità. Più di 1,3 milioni di persone nel mondo rimangono uccise e 50 milioni sono ferite ogni anno negli incidenti stradali. Il traffico sulle strade è la prima causa di morte per i giovani tra i 15 ed i 29 anni di età. Il fenomeno è particolarmente pesante per i Paesi in via di industrializzazione, mentre nelle economie avanzate sono state poste in campo politiche che sono riuscite a ridurre ed a contenere i fenomeno della mortalità e della incidentalità stradale nel corso degli ultimi decenni. Il 90% degli incidenti mortali che si verificano nel mondo si concentrano nei Paesi più poveri.

Sono circa trenta milioni le persone che si muovono ogni giorno in Italia: il 35,5% si sposta per lavoro, il 18,5% per studio, il resto per altri motivi dagli acquisti, alla salute ed alle visite a parenti ed amici. Diminuiscono gli spostamenti sotto i 15 minuti, mentre aumenta la quota di chi si reca fuori dal comune di residenza. Nei Paesi ad industrializzazione avanzata sono state attivate politiche per il contenimento delle emissioni inquinanti e per una riorganizzazione dei trasporti orientata alla inversione di tendenza rispetto ad un modello di spostamenti non più sostenibile.

Dal 2000 la tendenza è in calo per gli inquinanti, ad eccezione dell’ozono troposferico. Particolarmente deleterio risulta il Pm2,5, responsabile, secondo il Rapporto dell’Agenzia europea per l’ambiente, di circa 400.000 decessi prematuri in Europa ogni anno. Dallo State of global air report 2019, pubblicato dall’Health Effect Institution di Boston, si apprende che nel 2017 le Pm2,5 sono state causa di almeno 3 dei 4,9 milioni di morti premature nel mondo dovute ad una scarsa qualità dell’aria. Insomma, è ancora lunga la strada per ricondurre dentro un perimetro di sostenibilità il consumo di trasporto nel mondo. Oggi la battaglia si è spostata in particolare nei Paesi di più recente industrializzazione: ciò non vuol dire che si debba abbassare la guardia nelle economie occidentali, ma che gli sforzi non possono essere concentrati solo in una parte del sistema internazionale. Tocchiamo ancora una volta con mano cosa significa globalizzazione.

 

Pietro Spirito