Un romanzo di Rosi Selo ”Vincenzina ora lo sa”

Maria Rosaria Selo scrittrice da oltre dieci anni, sceneggiatrice di cortometraggi e documentari. Per Rizzoli ha pubblicato “L’albero di mandarini” vincitore del premio Minerva XVI edizione, candidato al premio Strega nel 2022 e vincitore del premio Cormano Donna nel 2023. Il suo nuovo capolavoro pubblicato da Rizzoli è “Vincenzina ora lo sa”, un romanzo che racchiude vari temi come amore, solidarietà, amicizia, lavoro, femminismo, sorellanza, lotta di classe. Una storia che rapisce fin dalle prime pagine, ci si trova nella Napoli del 1975 quando lo stabilimento siderurgico Italsider, uno dei più grandi d’Europa, (definito dalla gente dell’epoca “o’cantiere”) poteva assicurare lo sviluppo e la crescita sia dei cittadini e sia della città. Il 20 ottobre 1990, con l’ultima colata, la fabbrica cessa di operare. Era sorta nel 1906, grazie alla «Legge per il risorgimento economico di Napoli» del 1904, fortemente voluta da Francesco Saverio Nitti.  La crisi di Bagnoli e dell’intera siderurgia europea inizia nel 1973 con il primo shock petrolifero e la conseguente diminuzione del consumo globale di acciaio. Gli anni dal 1980 in poi vedono un progressivo rallentamento delle attività fino al piano di risanamento della siderurgia che decide la sua chiusura. L’impianto fu in parte smembrato vendendolo all’India e alla Cina. Con la chiusura della fabbrica, che era arrivata ad occupare fino a circa 8.000 addetti (25.000 considerando l’indotto), termina un capitolo importante della storia operaia di Napoli, che si avvia a perdere le caratteristiche di centro industriale e successivamente anche finanziaria con la perdita di autonomia del Banco di Napoli.  Solo Il Circolo Ilva di Bagnoli, con i suoi centoventi anni di vita, resta come patrimonio culturale e memoria storica di speranze, di orgoglio, di sofferenze e disillusioni. La fabbrica, anche se nel tempo sono migliorate le condizioni di sicurezza dagli anni ’80 del secolo scorso, purtroppo non ha portato solo vantaggi ma anche malattie, con l’aumento dei tumori polmonari a causa dell’amianto e del respirare aria tossica. Nel romanzo, il padre di Vincenzina Ferdinando nonostante i tanti sacrifici nel dare alla propria famiglia un futuro migliore, si ammala di tumore ai polmoni e muore. La sorte vuole che Vincenzina abbandoni l’università e prenda le redini in mano della famiglia. Mette da parte il sogno di vedersi laureata ed inizia a lavorare nello stabilimento. La rabbia che ha in corpo per il destino perduto si trasforma in coraggio quando si accorge di non essere da sola.  Vincenzina riesce poi a scoprire la solidarietà tra donne, l’amicizia e la sorellanza, si fa forza grazie a donne che come lei la vita ha provato a piegare.

La scrittrice Rosi Selo

Quali sono state le principali fonti di ispirazione per questo romanzo che racconta uno stralcio di storia vera della città di Napoli? Un passato che non trova ancora una soluzione.

Abito a Pozzuoli, la fabbrica dell’Italsider è vicina e incombe sul territorio. I resti dei capannoni abbandonati sembrano “ossa non seppellite” visibili a tutti e rappresentano una ferita aperta, un luogo che non trova pace, come per l’incendio doloso alla Città della Scienza. Ho scritto questo romanzo perché sentivo la necessità raccontare “O’cantiere” che ha rappresentato un momento importante per la classe operaia, i Caschi Gialli che sono stati parte di una aristocrazia operaia che non c’è più, con la dignità dettata dal percepire un salario fisso ma sacrificato. L’Italsider era un rischio per la salute ma nello stesso tempo rappresentava il riscatto dalla realtà rurale, ha rappresentato una svolta sociale economica e lavorativa. Ho raccontato l’importanza della fabbrica con i suoi protagonisti all’interno, descrivendo non solo la dirigenza ma proprio l’attività lavorativa, le maestranze, l’affetto tra gli operai che ancora oggi, a vent’anni dalla chiusura esiste, e si manifesta in maniera importante. L’Italsider non era solo un luogo di lavoro ma una piccola comunità operaia, tale da essere definita “un mondo in un mondo” in cui lo sviluppo delle malattie, che aggredivano gli operai e anche i propri familiari, a causa dell’alto livello di inquinamento, non limitava gli stessi a sentirsi vivi e parte integrante di un contesto. Il decennio ’70 e ’80 è stato duro. Era l’epoca delle Brigate Rosse che arrivavano ovunque (tranne che nel cantiere, grazie allo scudo degli operai), era il periodo dell’omicidio di Aldo Moro, il massacro del Circeo, ma soprattutto le lotte delle donne, l’autodeterminazione, le Leggi a favore dell’aborto, del divorzio e tante altre manifestazioni importanti. Vincenzina viene impiegata nell’indotto, nel settore delle pulizie, perché nel 1975 le donne non lavoravano più ai macchinari. Ho affiancato a lei altre donne che le insegnano la tenacia, l’amore, la resilienza. Caratteristiche che ad oggi aiutano molte donne ad andare avanti, a tenere duro e combattere.

Lo stabilimento dell’Italsider ha rappresentato il cambiamento dal punto economico, sociale ed anche politico dando una visione di certezza del proprio futuro a chi ci lavorava. Che differenze ci sono tra la realtà in cui vive Vincenzina e la realtà di oggi vissuta dai giovani?

Temo che la situazione lavorativa ad oggi sia peggiorata, si patisce la “fuga dei cervelli” in quanto ogni giorno ci sono ragazzi che per avere una possibilità di futuro sono costretti ad andare all’estero. Molte fabbriche/aziende per far fronte alle diverse spese salariali, che in Italia sono alte, si trovano nella condizione di chiudere oppure offrire lavoro ad un costo di manodopera molto basso, forse investendo poco in quella sicurezza che se ignorata determina le morti bianche. I giovani oggi usano i social che su alcuni aspetti sono di aiuto ma per altri permettono di isolarsi. Un tempo le persone manifestavano in piazza, amavano incontrarsi per scambiare idee, valori e lottavano per un futuro dignitoso. Bisogna dire che c’era maggiore possibilità di trovare un impiego, quindi una coesione e comunicazione tra gli operai e, soprattutto, c’era la resilienza, quella forza nel non arrendersi per raggiungere livelli di vita dignitosa.

In questo romanzo risalta la personalità di Vincenzina, che da timida studentessa si trasforma in una donna forte, coraggiosa, saggia, ricca di quei valori antichi che non le fanno perdere di vista la realtà. Una sognatrice, al principio, costretta fin da giovane tenere i piedi ben saldi a terra. Il suo dolore e la sua rabbia hanno col tempo fatto spazio al coraggio di osare e pretendere dei cambiamenti per sé, per la sua famiglia, per le sue amiche e colleghe, per la fabbrica stessa.

Nei suoi romanzi pone molta attenzione all’essere donna ed al rimboccarsi le maniche per non arrendersi, da cosa deriva la volontà di trattare tale tema?

Nel mio orto germoglia la scrittura al femminile, quindi l’esigenza di voler raccontare qualcosa che proviene da un passato difficile. La pagina diviene necessaria per raccontare fatti e pensieri, tentare di mettere in guardia ed aiutare altre donne a credere in se stesse e tenersi distanti da persone che possono danneggiarle. Soprattutto, volersi bene, amarsi, credere in se stesse. Nel romanzo “L’albero di mandarini” si racconta la storia di mia madre, della mia famiglia e ci sono anche io, nel personaggio della piccola Rosa.  Insomma tante donne, affiancate da uomini talvolta crudeli, altre volte salvifici.  La figura femminile va vista e descritta in varie sfaccettature, scavare nel suo profondo per capire qual è la difesa da adottare come forma di autoprotezione. Ed è, questo, un messaggio che rivolgo a tutte noi da sempre.

Qual è il personaggio dei suoi romanzi in cui si identifica di più?

Dietro ad ogni personaggio descritto nei miei romanzi ci sono io con i miei sentimenti. Cerco di spiegare con le parole le mie emozioni trasmettendo messaggi. Un testo e un sottotesto che va approfondito, ma sicuramente percepito da chi legge con occhi sapienti. Vincenzina non ha molto di me se non la tenacia, la forza che avrei voluto avere in passato. Invece in Giulia, sorella di Vincenzina, ci sono delle ingenuità che mi appartenevano quando ero una ragazzina. La sofferenza per la disparità di classe con le mie coetanee, e naturalmente quella economica. Non ho corso il rischio che affronta Giulia nella storia, ma la solitidine, il senso di inadeguatezza, sì. Sono cose di cui ho sofferto comprendendo troppo tardi che nella vita bisogna lottare per migliorarsi, ma seguendo sempre il proprio passo. In verità, ogni personaggio descritto nei miei romanzi possiede delle caratteristiche che mi rispecchiano.

Da scrittrice del Mezzogiorno qual è a suo avviso il ruolo della letteratura nel contesto specifico meridionale?

La letteratura ha un ruolo fondamentale, non solo contribuisce alla formazione di cittadini nel renderli responsabili e critici, ma aiuta anche ad arricchire il proprio lessico, a migliorare il proprio linguaggio per poter esprimere meglio e con maggiore forza le proprie idee. Rappresenta un vero mezzo di comunicazione. Si dovrebbe leggere per vivere meglio e con maggiore consapevolezza. Purtroppo, oggi sembra che ci sia una disaffezione alla letteratura poiché si è distratti nella quotidianità. La lettura dei classici è fondamentale. Oltre agli scrittori contemporanei si dovrebbero spulciare i romanzi di un tempo come il capolavoro di Carlo Levi “Cristo si è fermato ad Eboli” in cui viene descritta una realtà del dopoguerra che per certi versi è ancora immutata. In tale romanzo si fa riferimento alla Questione Meridionale, lo stato sociale e la discriminazione che affliggeva il Mezzogiorno d’Italia nell’immediato Dopoguerra. Carlo Levi, attraverso la sua scrittura invita il lettore a riflettere sulle disuguaglianze e a cercare una società (magari) più giusta e compassionevole, aspetti ancora del tutto attuali specie nel Mezzogiorno. Lo scrittore ha una grande responsabilità nel descrivere la vita, nel raccontare la storia dei protagonisti, tende a porre il lettore difronte a problemi ed in alcuni casi anche a possibili scenari e soluzioni. Bisogna leggere, sempre. La scrittura siamo noi, poiché l’Arte (e quindi la Letteratura) è la bellezza che resta.

   Qual è il libro a cui è più legata?

A differenza del romanzo “L’albero di mandarini” dove la storia era già definita perché, come dicevo, ho raccontato le vicende della mia famiglia, della vita privata dei miei genitori, “Vincenzina ora lo sa” è come un figlio, perché ho creato lei, la vicenda e tutti i personaggi che fanno da contorno alla sua vita. Ho cercato di descrivere una storia facendola percepire al lettore non vera ma verosimile, con l’intento di trasmettere un messaggio di forza ma anche di speranza alle donne e ai lavoratori.

Prossimo libro in cantiere?

Il prossimo romanzo racconterà la storia di un’agente di polizia penitenziaria del carcere di Pozzuoli, anche qui una realtà di donne sostenuto da un mio progetto. Con grande orgoglio, come volontaria, conduco un laboratorio di lettura e scrittura creativa nel carcere femminile di Pozzuoli S. Maria delle Grazie. Sono riuscita ad accedere a tale attività grazie a “Vincenzina ora lo sa” letto sia dalla direttrice del carcere e poi dalle detenute. Diciamo che con l’ultimo romanzo chiudo una trilogia dedicata alle Donne che hanno attraversato il Novecento fino ai giorni nostri.

Oltre a scrivere romanzi ed essere impegnata nel sociale, ha progetti futuri?

Molte amiche attrici mi hanno chiesto di scrivere un monologo teatrale sempre al femminile. Scrivo racconti per collettanee, collaboro con qualche giornale (ad esempio il Mattino, per il quale ho curato l’antologia per gli Ottant’anni delle Quattro Giornate di Napoli). Insomma, scrittura e passione, sempre.

 

Marianna Picerno