Donatella Schisa, avvocato, lettrice appassionata, conduttrice di un circolo letterario, da alcuni anni si è dedicata in prima persona alla letteratura. Tra le sue pubblicazioni: Il posto giusto; La nebbia quando sale; Lettere a mia madre e non solo; Lunario minimo . È curatrice di antologie per Giulio Perrone Editore.
Da avvocato a scrittrice, com’è nata la sua passione per la letteratura?
La mia passione per la letteratura è decisamente risalente. Non appena ho imparato a leggere, molto presto peraltro, ancor prima di andare a scuola, mi si è aperto un mondo di possibilità infinite e non volevo lasciarne nessuna inesplorata. Mi sembrava, attraverso quei minuscoli segni sulla carta, di possedere la chiave di accesso all’intero universo. Per conoscerlo bastava semplicemente mettere insieme quei segni, leggerli e comprenderne il significato. Era una magia e tale è rimasta per me. Grazie alla lettura, ho viaggiato senza muovermi da casa, ho scoperto terre che non sarebbe bastata una vita intera per visitare, incontrato persone e storie di ogni genere, vissuto in molte epoche, conosciuto usi e costumi di paesi lontani. E la passione per la lettura è andata quasi di pari passo a quella per la scrittura. Posso dire oggi di essere stata grafomane da sempre: diari, lettere, poesie, sceneggiature, racconti, giornalini scolastici, articoli; insomma, scrivevo di tutto e dappertutto e continuo a farlo.
Quali sono state le sue principali fonti di ispirazione?
Non so dire, in verità, quali siano state le mie principali fonti di ispirazione, però, se proprio devo trovarne, non posso che pensare che per me sia stata la vita la principale fonte. Laddove per vita intendo il complesso di esperienze sedimentate nel corso del tempo, direttamente, in prima persona, o indirettamente, attraverso la conoscenza delle storie altrui. Quando ho scritto di qualcosa, non è stato mai per una decisione presa a tavolino, per una scelta razionale, ma sempre perché le storie venivano a me. Affioravano alla coscienza, emergevano da una qualche regione remota per essere raccontate. Non posso che pensare così. L’esempio che faccio sempre quando mi chiedono come mai ho scritto di una certa cosa è quello della marea. Quando si ritira, il mare lascia sulla riva una quantità di cose, naturali e non: conchiglie, rametti, ciuffi di alberi, ossi di seppia, ma anche arnesi e oggetti appartenuti all’uomo. In ognuno di essi si annida una storia da poter raccontare. A me è così che capita: a un certo punto mi arriva da non so dove, ma come da una risacca interiore, un volto, una voce, una storia da raccontare.
Tra gli scrittori del passato, chi sono i suoi preferiti?
Troppi sono i nomi che dovrei fare, anche perché sono stata una lettrice onnivora e ogni stagione della mia vita è stata caratterizzata da una passione. Posso sicuramente dire di aver cominciato con le fiabe di tutto il mondo, di aver proseguito con la letteratura per l’infanzia, per intenderci quella che ha per protagonisti orfani che vivono peripezie di ogni genere prima di approdare a una qualche salvezza, di aver saccheggiato Salgari e Pearl S. Buck, grazie ai quali ho conosciuto l’oriente. Poi è venuta la mitologia di cui mi sono follemente innamorata, una breve fase di gialli, in seguito ho saccheggiato le sorelle Brontë e Jane Austen, per proseguire con Hesse, tappa obbligatoria per gli adolescenti di ogni tempo. Infine, i grandi classici europei dalla Russia alla Francia, passando per la Spagna, la Germania e l’est Europa. Ho avuto una fase latino-americana, che è passata per i grandi nomi e sono poi approdata in Italia per concentrarmi sugli autori di casa nostra, da quelli del passato ai contemporanei. Poca confidenza confesso di aver dato alla letteratura americana, forse perché infastidita dalla moda esplosa oramai da tempo per la quale quasi tutti leggono autori d’oltreoceano, snobbando la letteratura di casa nostra. Ma, naturalmente, anche qui non mi sono fatta mancare i fondamentali che, in verità, ho anche apprezzato. Direi che mi fermo qui, perché fare l’elenco è impossibile.
Quali sono i principali temi trattati nei suoi romanzi?
Nel mio primo libro, “Il posto giusto”, racconto una saga familiare che attraversa il 900 e nella quale in filigrana affronto il tema delle costellazioni familiari. Vale a dire, in parole povere, quel complesso sistema di relazioni con gli avi che ci porta a ereditare nel patrimonio genetico, oltre a fattori fisici e tratti psicologici, anche il dolore, la sofferenza e i nodi irrisolti di qualcuno che ci ha preceduto nell’albero genealogico; nodi che sarebbe bene individuare, mettendoli a fuoco, per scioglierli e poter vivere meglio. Nel secondo, La nebbia quando sale, racconto della malattia neurodegenerativa di mia madre, che l’ha portata via da noi quando era ancora in vita, ma in un altrove lontano e irraggiungibile. Io quell’altrove ho provato a raggiungerlo cercando di aprire uno squarcio attraverso il racconto dei ricordi, della sua e della nostra vita insieme. Non so se ci sono riuscita, ma almeno ci ho provato, riuscendo così almeno a fronteggiare in parte il dolore. “Lunario minimo”, l’ultimo libro uscito a novembre 2023, è una raccolta di 27 racconti, uno per ciascun giorno del mese siderale, che è il tempo necessario alla Luna per compiere la sua orbita intorno alla Terra e a questa riallinearsi. I racconti sono suddivisi secondo il criterio delle fasi lunari, per cui ci sono quelli della Luna nuova, della Luna crescente, della Luna piena e della Luna calante e ciascun gruppo di racconti segue le caratteristiche proprie della corrispondente fase lunare.
Come definirebbe il Suo stile?
Non sta a me definire il mio stile, ma, se proprio devo, direi che si tratta di uno stile classico, novecentesco. Quello che sicuramente posso dire è che ho una cura maniacale del testo. I miei libri hanno gestazioni lunghe e complesse, perché scrivo e riscrivo, rileggo, rivedo e correggo in continuazione fin quando sono convinta anche dell’ultimo segno di interpunzione e del suono complessivo del manoscritto.
Il personaggio dei suoi romanzi in cui si identifica di più?
C’è un po’ di me in tutto quello che ho scritto, ma credo sia quasi inevitabile. Talvolta lo dichiaro apertamente, come è stato nel narrare del rapporto tra me e mia madre o nel racconto “È stata la mano di Dio”, che contiene una vicenda autobiografica per dichiarazione esplicita; tal altra capita di raccontare storie che prendono spunto da fatti realmente accaduti, ma che finiscono per essere trasfigurati sulla carta. E così che le persone diventano personaggi da romanzo.
Qual è il libro a cui è più legata?
Sono legata a tutti i miei libri, anche perché ciascuno di loro ha attraversato una stagione diversa della mia vita. Si tratta sempre e comunque di mie creature, fortemente pensate e volute prima di essere messe al mondo.
Come vede il fenomeno crescente delle donne scrittrici al Sud?
Non so se si possa parlare di fenomeno crescente per le donne del Sud che scrivono, perché le donne hanno scritto da sempre. Solo che prima avevano più difficoltà a prendersi del tempo, a sottrarlo ai doveri familiari, non avevano la famosa stanza tutta per sé di cui parla Virginia Woolf e, per lo più, quello che scrivevano lo tenevano per sé. Oggi, per fortuna, non è più così, le donne sono uscite allo scoperto, hanno imparato a credere in se stesse, ad autodeterminarsi e quindi anche nella scrittura, come nelle altre professioni, si è registrato un aumento delle voci femminili. In realtà, credo che il fenomeno vada riguardato più sotto il profilo dell’aumento generalizzato del numero di persone che scrivono, uomini e donne. Ma, d’altronde, con il proliferare delle scuole di scrittura, dei corsi on line e in presenza, con il moltiplicarsi delle possibilità occupazionali offerte dalla parola scritta era inevitabile. Oggi si può scrivere per il cinema, perla televisione, per le serie, per i podcast, per tutto.
Da scrittrice del Mezzogiorno, qual è, a Suo avviso, il ruolo della letteratura nel contesto specifico meridionale?
Se alla letteratura si attribuisce uno scopo, una funzione, essa cessa di essere tale. La letteratura deve poter prescindere dal fine, non deve porsi obiettivi, deve essere solo se stessa e il suo unico fine è il raccontare. Che poi la letteratura sia specchio della vita, e, come tale, la rifletta in tutta la sua complessità, è già di per sé una ragione sufficiente a farne comprendere l’importanza. Chi legge si imbatte infatti in tutte le possibili declinazioni della mente e in tutte le articolazioni immaginabili del sentimento, entra nelle vite degli altri, scopre l’empatia che è alla base dei rapporti umani, conosce il passato e ciò che ha messo radici nel presente e sta gettando semi per il futuro. E chi si imbatte in tutto questo diviene per forza di cose un individuo più consapevole, dotato di senso critico e di capacità di discernimento. In questo senso credo si possa dire che la letteratura in democrazia è fondamentale, perché gli individui che ne fanno uso sono meno influenzabili e manovrabili. Non per nulla nei regimi dittatoriali l’arte viene soffocata, perché libera l’individuo. Forse al Sud la letteratura può far scoprire il senso di comunità e di appartenenza, ma questo discorso credo che vada esteso al resto del mondo, perché la conoscenza delle proprie radici è fondamentale per la costruzione dell’identità, ma ciò che occorre è sentirsi poi parte di un’unica umanità in cammino, auspicabilmente verso un futuro di pacifica convivenza e rispetto del pianeta e del prossimo.
Il prossimo libro in cantiere?
Il mio prossimo libro uscirà a maggio per la collana “Passaggi di dogana” della Giulio Perrone. Si tratta di una bella collana che narra di luoghi attraverso il racconto di personaggi famosi che in quei luoghi sono nati o li hanno attraversati. Si tratta di scrittori, di musicisti, di cantautori e con loro si ha la possibilità di viaggiare in tutto il mondo. Il mio libro è su Massimo Troisi e il suo rapporto con Napoli. “A Napoli con Massimo Troisi” è il titolo e verrà alla luce in occasione dei trent’anni dalla scomparsa dell’artista.
Progetti futuri?
Progetti futuri sono continuare a scrivere, finché ne avrò la forza, ma soprattutto continuare a leggere.
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