Con la recensione del libro di Nicola Porro “il Padreterno è liberale” curata da Roberto Giuliani vogliamo ricordare Antonio Martino, già assegnatario del Premio Guido Dorso per l’economia nel 2015.
Il Professore Martino nato a Messina, era figlio di Gaetano Martino, da cui aveva ereditato la sua profonda cultura liberale. Ricordiamo che suo padre fu protagonista del rilancio europeo a metà degli anni cinquanta, infatti come Ministro degli affari esteri fu il promotore della Conferenza di Messina, a cui parteciparono i ministri degli Esteri della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), tenutasi a Messina dal 1° giugno al 3 giugno 1955 fondamentale per il Trattato di Roma istitutivo della Comunità europea. Antonio Martino è stato un liberale vero, allievo e amico di Milton Friedman. Ha ricoperto il ruolo di ministro degli Esteri e della Difesa. Si era laureato in Giurisprudenza nel 1964 per poi dedicarsi all’economia politica. Docente alla Luiss di Roma, di cui è stato anche preside di Scienze Politiche dal 1992 al 1994, era diventato presidente onorario dell’istituto Milton Friedman.
Il premio gli fu consegnato a palazzo Giustiniani dal vice Presidente emerito della Corte Costituzionale nonché anch’egli già Premio Dorso, Luigi Mazzella.
“Antonio Martino, eminente figura di studioso, rappresenta un riferimento intellettuale ed istituzionale di primo piano del nostro Paese. La sua formazione accademica presso l’Università di Chicago resta, insieme alle tradizionali radici liberali, un tratto saliente delle sue scelte. Si deve a tal proposito ricordare la Presidenza della Mont Pelerin Society, fondata da Friedrich Hayek. Restano della persona da valutare, e non sullo sfondo, le sue funzioni prima di Ministro degli Esteri, poi più a lungo di Ministro della Difesa. In questo quadro complessivo accademico e politico, il nostro Paese si è avvalso delle capacità e competenze di Antonio Martino, un economista sceso dalla cattedra per offrire a tutti “la logica ed il valore etico” delle sue scelte” (N.D.R).
Non è semplice fornire una chiave di lettura del liberalismo nel nostro tempo: l’espressione liberale è spesso abusata, richiamata in variegate e soggettive accezioni e generalmente identificata con il sistema dei valori delle democrazie europee e occidentali, in contrapposizione ai totalitarismi di ieri e di oggi.
Le molteplici sensibilità presenti nella vasta area culturale che si richiama al liberalismo e l’assenza nell’attuale scenario di un soggetto politico unitario che rappresenti e incarni univocamente tali valori rendono ulteriormente complessa una rappresentazione chiara e netta di questo mondo.
Un pluralismo di idee e approcci che, visto da un’altra prospettiva, è indubbiamente un elemento di ricchezza peculiare di questa cultura che conserva oggi un notevole fascino, in uno scenario economico caratterizzato dalla crescente interazione uomo-macchina che fa crescere l’esigenza di una visione che esalti le virtù dell’individuo e rimetta la dimensione umana al centro.
Inoltre la rivoluzione digitale e la globalizzazione impongono nuovi modelli e una nuova visione del lavoro, un nuovo approccio al concetto di fare impresa una differente sensibilità per l’iniziativa privata e una dimensione professionale sempre più libera e autonoma.
Un esempio illuminante di tale sensibilità ci è stato lasciato da un grande maestro del liberalismo italiano, Antonio Martino, figura che vogliamo ricordare, partendo dalla testimonianza di Nicola Porro, nel suo libro “Il Padreterno è liberale”, edito da Piemme.
Un racconto vivace e appassionato con forti contenuti autobiografici, che ci narra uno spaccato dell’Italia degli ultimi decenni, con un’analisi critica delle scelte di politica economica e strategie internazionali. Uno “zibaldone liberale”, come lo definisce l’autore, figlio dell’ultima intervista ad Antonio Martino, che ripercorre le recenti evoluzioni della politica italiana, sottolineando l’anomalia dell’essere liberali in Italia, essere cioè portatori di idee tanto sfruttate ma in realtà non molto amate e per nulla seguite. Questa è probabilmente la ragione che ha spinto Martino a non prendere in considerazione l’idea di ricoprire il ruolo di ministro dell’Economia, per non trovarsi costretto a scelte in contraddizione con i suoi principi, in un terreno, quello delle libertà economiche, su cui non avrebbe mai accettato compromessi.
Il racconto di Porro inizia dalla sua prima conoscenza di Martino, nell’ambito dell’esperienza della Scuola di Liberalismo di Enrico Morbelli, un percorso di formazione politica sul pensiero liberale, nato a Roma e poi sviluppato su tutto il territorio nazionale. Un progetto che incarna al meglio lo spirito autentico della cultura liberale, fatto di momenti di studio, approfondimento, condivisione e confronto, e che ancor oggi, dopo decenni di percorsi itineranti in tutta Italia, prosegue anche grazie alle nuove formule digitali che riuniscono in un’unica classe virtuale studenti provenienti da ogni angolo del Paese, con nuovi strumenti ma conservando lo spirito originario.
Questa esperienza aprì all’autore “le porte” del mondo del liberalismo americano e la possibilità di conoscere molti intellettuali dell’Universo liberale, tra i quali appunto Antonio Martino.
Una conoscenza successivamente approfondita con telefonate e articoli fino all’incarico al Ministero degli Esteri, in qualità di suo portavoce, all’epoca del primo governo Berlusconi, nel 1994, una stagione politica vissuta con grande partecipazione da molti liberali che sperarono nella possibile nascita del primo partito liberale di massa.
Un’illusione destinata inevitabilmente a restare tale.
Il tema della mancata rivoluzione liberale è uno dei principali focus del racconto di Porro, unitamente a quello dell’Europa, per forza di cose al centro del racconto, essendo Antonio Martino considerato un “euroscettico” ma pur sempre figlio di Gaetano, figura centrale del processo di costruzione europea, Ministro degli Esteri in un periodo cruciale del cammino europeo, in cui il primo embrione dell’Unione Europea, la Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) sembrava in difficoltà e a rischio di mancata ratifica.
Appena insediato alla Farnesina nel 1954, Gaetano Martino si impegnò attivamente per salvare questo progetto, considerando fondamentale per il cammino europeo questa comunità dedicata alla gestione delle principali risorse energetiche (strategica sia in chiave economica che di mantenimento della pace, principale motivo ispiratore della costruzione d’Europa dalle macerie della seconda guerra mondiale).
Per favorire la ratifica della CECA convocò nella sua Messina, nel cuore del Mediterraneo, il vertice dei ministri dei sei membri della CECA (i sei fondatori Italia, Francia, Germania, Belgio, Olanda, Lussemburgo) il 1 e 2 giugno 1955.
In quella sede, pur nella convinzione che i tempi non fossero maturi per una reale unificazione politica europea, si convenne che era necessario andare avanti gradualmente, con il cammino di integrazione. E fu in quella riunione a Messina che si gettarono le basi per l’Euratom, altro pilastro strategico, e per la firma dei Trattati istitutivi della Comunità Economica Europea, unitamente a quella dell’istituzione dell’Euratom, a Roma il 25 marzo 1957.
Antonio si riconosceva nell’impegno di suo padre, nel solco delle origini del cammino europeo, ispirato ai principi liberali alla base della cultura occidentale, ma al tempo stesso era sostenitore di un duro scetticismo nei confronti delle recenti politiche europee, frutto della constatazione di una forte distanza dell’attuale Unione Europea dai valori dei padri fondatori, di un’eccessiva burocratizzazione che limita le libertà dei cittadini e del tradimento, a suo avviso, del principio “uniti nella diversità” per spingere verso una omologazione che rischia di disperdere la ricchezza delle peculiarità delle differenti culture degli stati membri.
Una posizione evidentemente animata dal mettere la libertà prima di ogni cosa, motivazione del suo grande amore per gli Usa e il liberalismo americano e di una profonda convinzione assimilabile a un credo religioso, che lo ha spinto a pronunciare la frase all’origine del titolo del libro: il Padreterno è il più grande liberale della storia, in quanto ha lasciato all’uomo la libertà di scegliere il peccato o la virtù e ogni religione si basa su questa libertà di scelta che è l’essenza del liberalismo.
Una riflessione sintetizzata da Porro nel capitolo conclusivo dedicato all’ultima conversazione con Antonio Martino, pochi giorni prima della sua scomparsa, il 5 marzo 2022.
Oltre un anno dopo, vogliamo ricordarlo e sottolineare la sua eredità intellettuale (nonostante non amasse definirsi tale) da una prospettiva europeista e meridionalista: un percorso liberale di respiro internazionale che parte da Messina, in quel Mezzogiorno d’Italia troppo spesso accostato a logiche clientelari assistenziali, che oggi può e deve cogliere l’occasione di rilancio della quarta rivoluzione industriale attraverso una spinta autenticamente liberale verso la costruzione di un nuovo tessuto produttivo, connesso alle realtà innovative già presenti da consolidare, per colmare il gap accumulato nelle precedenti fasi e compiere il salto del gradino nella nuova dimensione 4.0.
Allo stesso modo l’Europa può far tesoro della riflessione critica di un “europeista euroscettico” che ha sempre messo al centro il valore della libertà, alla base del principio cardine della libera circolazione da cui derivano tutti i progressi e le conquiste in termini di diritti e opportunità per i cittadini dell’UE, esortando al ritorno allo spirito delle origini per rilanciare il processo di costruzione della casa comune europea.