È in azione una tempesta perfetta, causata dal mix di effetti di pandemia, inflazione e scenari di guerra alle porte dell’Europa, cui si sommano le politiche di contrasto all’inflazione delle banche centrali con effetti depressivi sull’economia. Effetti che si sono abbattuti in una situazione che, negli ultimi decenni, se da u n lato ha visto diminuire le diseguaglianze tra Paesi, grazie allo sviluppo del Sud-est asiatico, dove viveva una rilevante quota dei poveri, dall’altro ha visto aumentare le diseguaglianze interne ai Paesi, particolarmente in quelli avanzati.
Le cause sono molte. Dal passaggio al post-fordismo sulle ceneri del modello fordista, con la perdita di forza sindacale, all’indebolimento dei sistemi di protezione del lavoro, fino ai processi della sua automazione che richiedono capitale cognitivo, spiazzando i lavoratori privi di elevate competenze e consegnandoli a lavori precari e bassamente retribuiti. I recenti rapporti Oxfam rilevano che la pandemia si è abbattuta su un’Italia profondamente diseguale aggravandola, mentre l’Istat evidenzia come il reddito disponibile delle famiglie sia calato del 2020 del 2,8%, determinato dal calo occupazionale e delle retribuzioni, parzialmente compensato dalle sovvenzioni pubbliche.
Il passaggio dal reddito alla ricchezza patrimoniale evidenzia una diseguaglianza ancora più alta che condiziona le opportunità delle generazioni future, con il 20% italiani più ricchi che possiede quasi il 70% della ricchezza nazionale, mentre il 60% più povero possiede il 13,3% della ricchezza nazionale (Oxfam, 2022). L’Istat , rileva che, nel 2021, 1,9 milioni di famiglie e 5,6 milioni d’individui, di cui 1,4 milioni di minori, sono in condizioni di povertà assoluta. Anche se i poveri non sono cresciuti sul 2020, la loro distribuzione territoriale prevale nel Mezzogiorno e tra gli stranieri . Se nel 2021, 90mila famiglie e 299mila individui del Nord sono usciti dalla povertà assoluta, al Sud sono entrate in povertà altre 51mila famiglie e 196mila individui .
Polarizzazione nella distribuzione dei redditi e patrimoni producono effetti negativi, che uniti al blocco dell’ascensore sociale, inducono effetti di scoraggiamento con abbandono dei percorsi d’istruzione e rinunce ad offrirsi sul mercato del lavoro, subendo anche le lusinghe di organizzazioni criminali. Non è un caso che i giovani che non lavorano, non studiano e non si formano, i famigerati NEET, vedano l’Italia primo Paese in Europa con la quota del 23,1%, di cui 15% nel Centro-Nord e 27,3% nel Mezzogiorno, con le tre regioni guida di questo fenomeno, Sicilia, Campania e Calabria, rispettivamente con quote del 36,3%, 34,1% e 33,5%. Né va meglio nei termini dell’abbandono scolastico, nella fascia di età 18-24 anni, al 12,7% in Italia e al 19,5% nel Mezzogiorno.
L’abbandono dei percorsi di studio è molto grave, non solo perché sottrae la formazione di capitale cognitivo, in una fase in cui i sistemi produttivi tendono ad elevare l’utilizzo delle nuove tecnologie per compiere quel salto qualitativo, la cui mancanza sta determinando un declino del nostro Paese nei confronti di aree e paesi avanzati, mentre il sorgere di nuovi concorrenti nei paesi dell’est europeo sta ulteriormente restringendo gli spazi di competitività internazionale fondati su bassi costi di produzione.
Il danno maggiore per i nostri giovani è soprattutto nell’emarginazione sociale che rischia di racchiuderli in una trappola della povertà, in cui da adulti sarà molto più difficile venirne fuori. La povertà è un fenomeno complesso e multidimensionale, che non può ridursi meramente al reddito. Finora gli interventi governativi, in Italia, attraverso reddito, pensioni di cittadinanza e bonus vari, si sono limitati a lenire il calo di reddito familiare, sostenendo i consumi, senza interventi significativi sugli altri aspetti della condizione dei poveri.
La povertà, del resto, è ereditaria come la ricchezza e chi è povero da bambino ha un’elevata probabilità di esserlo anche da adulto. Solo che in Italia mentre l’eredità della ricchezza trasferita da parenti diretti è tassata al 4% solo per la quota di valore eccedente il milione di euro, mentre la povertà si trasmette senza sconti e franchigie. L’Italia, ad eccezione della Svezia dove è stata abolita, è, infatti, il paese europeo in cui si pagano meno tasse di successione, mentre, sempre per discendenti diretti, in Francia l’aliquota è del 45%, in Spagna del 34%, in Germania e Belgio del 30%. Inoltre in Italia sono esentati da tasse di successione diversi strumenti finanziari, come polizze vita, titoli postali e di comuni e regioni, così come del debito pubblico, titoli UE ed emessi da enti sovranazionali e organi internazionali.
Né va meglio per la tassazione IRPEF, con molte eccezioni sul prelievo fiscale, tra flat tax e aliquote fiscali più basse su rendite finanziarie, privilegiandole a scapito del lavoro, con la prevalenza delle entrate fiscali pagate dal lavoro dipendente. Una condizione che produce un blocco dell’ascensore sociale, non risolvibile solo distribuendo sostegni al reddito, bensì mettendo in campo interventi di accompagnamento e tutela dei giovani. La proposta di legare la concessione del reddito di cittadinanza al rispetto dell’obbligo di mandare i figli a scuola, se ha un avuto un discreto successo quando fu applicato in Brasile dalla presidenza Lula, potrebbe essere utile, ma il suo effetto sarebbe limitato, senza interventi di accompagnamento e potenziamento dei servizi offerti.
Nelle case dei poveri non entrano, generalmente libri e giornali, non si parla italiano ma il dialetto, non si tiene uno stile alimentare e di vita salubre, le relazioni sociali sono vincolate all’interno di un ambiente chiuso ed emarginato, dove spesso dominano violenza e illegalità. Del resto, la diffusione delle nuove tecnologie della comunicazione, ha cambiato la struttura dei consumi e le modalità della socializzazione, rendendo oggi essenziale disporre di collegamenti rapidi ad internet e di strumenti di connessione, senza i quali si determinano nuove forme di emarginazione. Il ritorno dell’inflazione penalizza ancor di più percettori di redditi bassi e i poveri. Solo una revisione profonda del sistema di tassazione, atto a garantire equità orizzontale e verticale, oltre a politiche sociali ad ampio raggio, possono smuovere questa situazione. Quello che manca per attuarla è una volontà politica libera da obiettivi di cattura del consenso sociale e da lobby di potere.