Intervista all’europarlamentare Franco Roberti

Franco Roberti, oggi europarlamentare dopo una lunga carriera nella magistratura, è stato assegnatario del Premio Internazionale Guido Dorso nel 2015 (35° edizione – Sezione Istituzioni), quando ricopriva la carica di  Procuratore Nazionale Antimafia. Prima da magistrato e poi da  parlamentare europeo è stato impegnato su temi complessi a livello nazionale e internazionale, in particolare nella lotta contro i poteri criminali. In questa intervista abbiamo esplorato diversi argomenti che riguardano lo sviluppo sano, ordinato ed equilibrato delle nostre comunità. Ci piace qui riportare le parole che Franco Roberti disse in occasione dell’assegnazione del Premio Dorso:Premiare un magistrato significa non solo riconoscergli delle capacità vere o presunte, ma anche attribuire valore al lavoro di squadra; quello che ho fatto è il risultato di una collaborazione con tutte quelle persone che mi hanno affiancato in questi anni e che mi hanno consentito di raggiungere traguardi importanti nell’ambito del contrasto alla criminalità organizzata di stampo mafioso e terroristico eversivo. L’abbinamento Giustizia – Mezzogiorno è fondamentale. Non ci sarà mai riscatto nel Mezzogiorno, e quindi nel nostro Paese, non ci sarà mai nuovo sviluppo economico o crescita, se continueremo a subire il peso di una criminalità organizzata, che è presente e infiltrata anche in regioni diverse da quelle di origine, e al tempo stesso di una giustizia che, pur essendo efficace nella repressione dei delitti mafiosi, non funziona ancora bene per quanto riguarda la giustizia penale ordinaria e la giustizia civile, e che per questo molto spesso alimenta la giustizia alternativa delle organizzazioni mafiose. La sfida che deve vederci tutti impegnati è quindi quella di promuovere nel nostro Paese lo sviluppo anche attraverso il rilancio di efficienza della giustizia”.

Franco Roberti riceve il Premio Internazionale Guido Dorso da Giuseppe Tesauro durante la XLIII edizione.

 

Onorevole Franco Roberti, da magistrato dell’Antimafia a Parlamentare Europeo, ha avuto molteplici esperienze e ruoli importanti nel campo Istituzionale. Ce ne parla?

Il mio percorso professionale, dopo le prime esperienze come pretore in Toscana e come giudice del Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi ai tempi del terremoto del 1980, si è sviluppato dopo il passaggio alla Procura di Napoli dove iniziai ben presto ad occuparmi della criminalità organizzata locale. Un percorso che ha seguito l’evoluzione del fenomeno criminale e l’evoluzione soprattutto dell’organizzazione antimafia, grazie alle riforme che furono adottate nei primi anni 90, soprattutto grazie all’impegno e al sacrificio di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino. Ho seguito sempre questo cammino fino a diventare nel 2013 Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo. Dopo il pensionamento mi fu proposta la candidatura al Parlamento Europeo nell’anno 2019, che accettai con entusiasmo e spirito di servizio. Prima ancora avevo svolto, per un anno, l’incarico di assessore alla Legalità e Sicurezza della Regione Campania, continuando ad occuparmi seppure in altra veste degli stessi temi di cui mi occupavo da magistrato. Attualmente sono all’esame del Parlamento Europeo proposte legislative di grande rilievo in materia di giustizia e di contrasto alla criminalità organizzata, su cui stiamo lavorando contando di portarle ad approvazione entro questa Legislatura. Mi riferisco alle modifiche alla disciplina del mandato di arresto europeo, al “Pacchetto Antiriciclaggio”, al rafforzamento di Europol e al grande piano contro la criminalità organizzata, proposto dalla Commissione Europea.

Ma la riforma più difficile è quella relativa ai fenomeni migratori, sulla quale purtroppo non c’è intesa tra i 27 Paesi dell’Unione Europea, mentre sarebbe indispensabile e urgente trovare una disciplina comune e condivisa in materia di accoglienza dei migranti, controllo ed integrazione. Temo che il cammino verso una legislazione europea ispirata ai valori costitutivi dell’Unione Europea sarà ancora lungo e accidentato.

 

Onorevole, secondo un suo punto di vista, parlando di Giustizia, Riforme, Leggi, la Riforma del Processo Penale, la Legge Cartabia, cosa pensa di questo cambiamento nell’ambito della Giustizia dei termini brevi del processo penale?

Secondo il mio punto di vista, la Riforma Cartabia dovrebbe essere più coraggiosa. La riforma si pone il giusto obiettivo della accelerazione dei processi, poiché il grande problema della Giustizia italiana è appunto quello della lentezza, della interminabile durata dei processi, sia civili che penali, che troppo spesso si traduce in denegata giustizia, con riflessi pesantemente negativi non solo sui diritti della persona ma anche sull’economia e, quindi, sullo sviluppo economico nel nostro Paese. Si punta ad attuare il principio della “ragionevole durata” dei processi, di cui all’articolo 111 della Costituzione, e quindi a ridurre drasticamente la durata dei processi, come oggi ci viene richiesto anche dall’Unione Europea per poter beneficiare dei fondi del Recovery Plan. Si poteva fare di più? Secondo me, si. Per fare un solo esempio di riforma “coraggiosa” si potrebbe intervenire per deflazionare il grado di appello (dove si verifica, in penale, il maggior numero di prescrizioni) e, anziché prevedere la “prescrizione del processo”, a mio avviso di dubbia costituzionalità, riservare il grado di appello ai soli processi definiti in primo grado con i riti alternativi (il ricorso ai quali ne risulterebbe incentivato), escludendo l’appello contro le sentenze emesse all’esito del rito ordinario, dove la prova si forma, nel rispetto del principio accusatorio, in dibattimento sotto il controllo del giudice.  Un altro esempio? La possibilità per il giudice di infliggere in appello una condanna ad una pena più grave di quella applicata in primo grado, la cosiddetta reformatio in pejus, nei casi (numerosissimi!) di appelli puramente dilatori, con effetto dissuasivo sulle strategie difensive che puntano a guadagnare tempo fino alla prescrizione. E poi non bastano le modifiche alle regole processuali, bisogna anche investire nell’organizzazione, in risorse personali e materiali. Bisogna intervenire, come peraltro il PNRR prevede, incentivando l’informatica giudiziaria. Bisognerebbe anche fare una drastica depenalizzazione, abbiamo un numero spropositato di reati che ormai non vengono neanche più avvertiti come disvalore sociale da parte dei cittadini, eppure li teniamo ancora. Bisognerebbe far funzionare le sanzioni amministrative. La riforma proposta dalla Ministra Cartabia andrà giudicata dai risultati e mi auguro che le riforme finora proposte siano soltanto l’inizio di un percorso destinato a dare finalmente al Paese un sistema giudiziario efficiente affidato a magistrati autonomi e indipendenti. A questo fine è anche necessaria la riforma del CSM.

 

Secondo lei, per quale motivazione specifica non funzionano le sanzioni amministrative?

Perché neanche la Pubblica Amministrazione funziona, sicché si teme che trasformare la sanzione penale in sanzione amministrativa faccia perdere ulteriormente l’effetto di deterrenza alla sanzione stessa, andando per giunta ad aggravare una macchina amministrativa già quasi alla paralisi. Quindi, c’è bisogno di una riforma della Pubblica Amministrazione e di una riforma della Giustizia. che dovrebbero andare di pari passo. Poi, si apre il problema enorme che riguarderà la corretta utilizzazione dei fondi del PNRR, che riguarderà entrambe le riforme.

 

Ciò che ci dice è pura realtà, dove c’è un ottima organizzazione nelle Amministrazioni, allora il sistema funziona. Ed è importante comunicare dove c’è un’organizzazione che funziona nelle amministrazioni. Quali Norme condivide e quali condivide meno?

Se il sistema amministrativo funziona ne beneficia quello giudiziario, poiché tante cause, processi, denunzie, spesso sono il risultato dell’impotenza del cittadino ad ottenere giustizia sul piano amministrativo, per cui ci si rivolge alla giustizia penale sperando, spesso inutilmente, di risolvere il problema. Una vera deflazione del processo penale e civile, presuppone anche il buon funzionamento della Pubblica Amministrazione che purtroppo non abbiamo ancora. Tra l’altro, i carichi di lavoro dei magistrati italiani, molto più altri che in tutti gli altri Paesi europei, non incidono soltanto sui tempi del processo, insopportabilmente lunghi, ma anche sulla “qualità” dei provvedimenti e, quindi, sulla loro efficacia. Se un magistrato è sommerso di processi, ne può risentire la qualità delle sue decisioni. Carichi di lavoro e qualità del lavoro giudiziario sono strettamente connessi. La risposta a questo problema, come a quello dei tempi di definizione, dovrebbe venire, almeno in parte, dall’Ufficio per il processo, disegnato dalla riforma Cartabia. Una riforma che richiederà un enorme sforzo organizzativo e finanziario, ma anche un cambiamento di mentalità per tutto il personale giudiziario.

 

Per far funzionare il sistema Giustizia avremmo bisogno che funzionasse in modo corretto prima la Pubblica Amministrazione, fondamentale e pilastro centrale di tutto un sistema. Quale è la sua opinione?

Un esempio pratico è il reato di abuso d’ufficio. È un reato per il quale si arriva in pochissimi casi alla condanna, ma che per come è formulato e per la conseguente incertezza nella sua applicazione, scoraggia i pubblici amministratori dall’assumersi le loro responsabilità. A volte viene utilizzato anche come pretesto per sottrarsi alle proprie responsabilità, ma andrebbe riformato, secondo autorevoli studiosi, eliminando i margini di incertezza e di ambiguità dell’attuale formulazione. Per esempio, individuando come delitti autonomi condotte specifiche che oggi, in assenza di tipizzazione, vengono ricondotte nella generica previsione dell’abuso di ufficio.  Questa riforma contribuirebbe al recupero di efficienza della Pubblica Amministrazione. Naturalmente, parlo della fisiologia del funzionamento degli uffici pubblici, lasciando da parte il gravissimo fenomeno della corruzione.

 

Onorevole, ci ha dato una vera e sana lezione di vita reale. Parlando appunto di corruzione, come secondo un suo giudizio si combatte questo fenomeno del Riciclaggio?

La corruzione è un fenomeno purtroppo gravissimo, ed è anche uno strumento privilegiato della criminalità organizzata di stampo mafioso per entrare nelle Pubbliche Amministrazioni, nel controllo dei fondi pubblici, degli appalti. Un fenomeno destinato ad aggravarsi con la pandemia, se non verranno prese le contromisure a livello nazionale e sovranazionale.

 

Lei ha sostenuto in un recente scritto che la lotta alle nuove mafie va combattuta a livello transnazionale. Ce lo vuole spiegare? 

Il concetto di criminalità organizzata transnazionale non è facilmente determinabile poiché non esiste nessuna definizione, né in diritto penale, tantomeno in criminologia. Le organizzazioni criminali transnazionali, differiscono sostanzialmente l’una dall’altra per struttura organizzativa, tipi di attività, dimensione ed estensione territoriale. Nonostante questa carenza sul concetto di criminalità organizzata transnazionale, diversi elementi peculiari sono evidenti nelle mafie di tutto il mondo. In primis, tali organizzazioni criminali commettono reati utilizzando la violenza laddove non riescono a imporsi mediante l’uso di strategie corruttive. Le associazioni criminali transnazionali sono attive in una molteplicità di campi che vanno dalle frodi bancarie, alla criminalità informatica, dal traffico di droga, merci o persone, fino all’accaparramento di fondi pubblici. La globalizzazione sia stata uno dei più grossi affari per le mafie di tutto il mondo poiché è stata utile soprattutto ad ampliare i propri interessi criminali a livello internazionale.

 

Quali sono gli strumenti normativi per combattere la criminalità organizzata transnazionale? E quali difficoltà si incontrano?

A venti anni dalla Convenzione ONU di Palermo contro la criminalità organizzata transnazionale (UNTOC) possiamo affermare, nonostante gli indubbi progressi che si registrano nel settore della cooperazione giudiziaria internazionale, vi siano ancora alcuni punti critici che emergono dalla pratica dell’azione di contrasto. Ne deriva una costante sfida allo Stato di diritto e ai diritti fondamentali, che compromette anche il diritto alla sicurezza dei cittadini e la loro fiducia nelle autorità pubbliche. Anche il fenomeno del terrorismo internazionale, nelle sue forme attuali, non conosce confini di Stati e di regioni. Per essere efficace il suo contrasto dovrebbe essere condotto in connessione con la lotta alle altre forme di criminalità organizzata e con spirito unitario tra tutte le Istituzioni coinvolte. Il contrasto al fenomeno del narco-terrorismo e, più in generale, al micidiale connubio tra terrorismo e crimine organizzato – per i traffici di armi e di esseri umani, per il contrabbando di petroli, per i sequestri di persona a scopo di estorsione e per il finanziamento del terrorismo stesso – esigerebbe un impegno corale ma, prima ancora, un “riconoscimento” dell’esistenza di questo nesso funzionale tra criminalità e terrore. Per fortuna non sono mancati, nella prassi più recente, casi assai significativi di utilizzazione della Convenzione di Palermo ai fini della cooperazione internazionale contro il terrorismo internazionale, ad esempio, nel contesto sudamericano e nordafricano. In questo quadro, il contrasto patrimoniale e il recupero dei proventi di reato dovrebbero essere un obiettivo primario per tutti i Paesi che intendano non solo “contenere”, ma sconfiggere le organizzazioni criminali. A tal fine non basta arrestare i responsabili senza confiscare i loro beni e destinarli al riutilizzo sociale. La dimensione transfrontaliera delle organizzazioni mafiose richiede, tuttavia, forme efficaci e rapide di cooperazione giudiziaria e di polizia, privilegiando fortemente il momento del coordinamento internazionale finalizzato alla raccolta delle prove e alla individuazione degli obiettivi personali e patrimoniali. Peraltro, sarebbe del tutto illusorio pensare che la dimensione della criminalità organizzata transnazionale, sempre più attiva in una serie di traffici delittuosi che coinvolgono in modo strutturato e intenso altri continenti, possa essere contrastata con la sola azione, sia pur coordinata, dei Paesi europei, senza stabilire una cooperazione rafforzata con una ampia serie di Stati posti al di fuori dell’Unione. Un chiaro segnale della carenza – fino ad oggi – di una strategia condivisa è fornito dagli approcci differenti nella definizione delle minacce e dei rischi: una frammentazione che restringe notevolmente la possibilità di esercitare un contrasto efficace. Si tratta, a volte, di miopia strategica che indebolisce la forza dell’azione legislativa e operativa sovranazionale. Va poi rimarcata la stretta correlazione che intercorre tra la qualificazione come “diritto” del diritto internazionale e l’esistenza di meccanismi che ne garantiscano l’applicazione. Per la Convenzione di Palermo e per i suoi Protocolli aggiuntivi (volti a contrastare la tratta di esseri umani, il traffico illegale di migranti, la fabbricazione e il traffico illeciti di armi da fuoco), la previsione di adeguati meccanismi internazionali di controllo sull’osservanza degli impegni assunti degli Stati-parte risulta cruciale per garantirne una efficace attuazione. È chiaro che la mancata attuazione di un meccanismo specifico per verificare il grado di rispetto degli impegni assunti dalle Parti contraenti rappresentava, a livello universale, una occasione mancata. Questa lacuna è stata colmata dando attuazione alla previsione dell’art. 32 della Convenzione di Palermo, secondo cui la Conferenza degli Stati parte deve adottare un meccanismo per la revisione periodica della implementazione della Convenzione. Il meccanismo è finalizzato a scambiare le informazioni occorrenti ai fini del migliore funzionamento della cooperazione internazionale, identificare le lacune che impediscono di contrastare efficacemente i fenomeni delittuosi emergenti a livello globale, promuovere le riforme legislative e organizzative necessarie in tutti i paesi coinvolti. In occasione del ventennale della Convenzione UNTOC, la Conferenza delle Parti ha pertanto rilanciato il meccanismo di revisione della Convenzione (già adottato nel 2018) con la Risoluzione 16 ottobre 2020 – denominata Risoluzione Falcone, in omaggio al magistrato simbolo dell’impegno per la giustizia e la cooperazione internazionale –  proponendo per la prima volta strumenti di contrasto alla criminalità organizzata transnazionale nell’ambito di una strategia globale, economico-finanziaria e digitale, in linea con quella in fase di adozione nella legislazione dell’Unione europea. Poco prima, la Assemblea Generale ONU aveva avviato il meccanismo di revisione dell’attuazione della Convenzione firmata a Merida nel 2003 contro la corruzione – che aveva ripreso e sviluppato il tema già oggetto di standard di incriminazione nel testo UNTOC (art. 8) –  meccanismo imperniato su cinque ambiti: politiche di prevenzione; nuove misure penali; recupero dei beni e delle somme illecitamente acquisite; assistenza tecnica; scambio di informazioni. Alla Risoluzione Falcone risponde, in piena sintonia, la nuova strategia europea contro la criminalità organizzata transnazionale e la tratta degli esseri umani, comunicata il 14 aprile 2021, che segue di pochi mesi quella per la cyber sicurezza e la nuova agenda antiterrorismo e quella antiriciclaggio. La strategia europea rilancia e aggiorna alle nuove tecnologie gli strumenti della Convenzione di Palermo che i Paesi dell’Unione hanno (in varia misura) sviluppato in questi venti anni, offrendo nuovi spunti per una sempre più stretta cooperazione tra Nazioni Unite e Unione europea. Al primo punto della nuova strategia c’è l’agevolazione dello scambio di informazioni e un accesso tempestivo alle stesse attraverso l’ampliamento delle attribuzioni di Europol, anche nella cooperazione con i Paesi terzi, l’interoperabilità delle banche dati e una nuova piattaforma dedicata allo scambio  – tra investigatori e magistrati – delle informazioni e delle prove elettroniche, sempre più determinanti nell’era digitale. È la realizzazione pratica dell’insegnamento di Giovanni Falcone!

 

Quale strategia viene proposta contro il riciclaggio?

Il riciclaggio è l’essenza della criminalità organizzata, le indagini finanziarie sono la frontiera più impegnativa, ma ineludibile, dell’azione investigativa e giudiziaria. Il cammino verso approdi soddisfacenti è ancora lungo. Un nuovo pacchetto di norme contro il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo, presentato dalla Commissione Europea é ora all’esame del Parlamento. Si tratta di una iniziativa molto ambiziosa, composta da quattro proposte legislative volte a consolidare e armonizzare la normativa UE, cercando di colmare le lacune e le asimmetrie regolative finora sfruttate dalla criminalità per riciclare i proventi illeciti o finanziare attività terroristiche attraverso il sistema finanziario. Il pacchetto prevede un Regolamento che istituisce la Autorità dell’UE in materia di AML/CFT. L’Autorità – che ci auguriamo possa avere sede in Italia – sarà un organismo con personalità giuridica, avente la forma di un’agenzia decentrata dell’UE. Il suo obiettivo sarà la prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, contribuendo a rafforzare la supervisione e a migliorare la cooperazione tra le UIF e le autorità di supervisione, grazie ad un unico sistema integrato di vigilanza. Conseguente alla istituzione della nuova Autorità è la proposta di un Regolamento in materia di prevenzione AML/CFT contenente norme direttamente applicabili e innovative, anche in relazione al regime delle segnalazioni di operazioni sospette, di cui l’Autorità dovrà proporre un modello comune; all’adeguata verifica della clientela; alla identificazione della titolarità effettiva; alle persone politicamente esposte e ai rapporti con i Paesi terzi a rischio, identificati dalla Commissione d’intesa con il GAFI. È stata anche proposta una sesta direttiva contenente più stringenti disposizioni da recepire nel diritto nazionale, con particolare riguardo a determinati operatori e prestatori di servizi, agli organismi di vigilanza nazionali e alle Unità di informazione finanziaria. Sarà un lavoro molto complesso, che contiamo però di concludere entro il 2022. Ma i risultati di questo lavoro potrebbero costituire finalmente un argine efficace, un muro – l’unico muro che vorremmo vedere eretto nella nostra Europa – quello contro il crimine e il malaffare transnazionale.

 

La differenza tra il Regolamento e la Direttiva?

Il Regolamento è direttamente applicabile nei 27 Stati Membri dell’UE. La Direttiva deve essere, invece, implementata, cioè recepita con legge interna e, in questi casi, che consentono di adattare la Direttiva agli ordinamenti e alle esigenze di ciascuno Stato, non sempre le norme della Direttiva vengono implementate correttamente.  Il Regolamento invece è direttamente esecutivo e non consente recepimenti “flessibili”.

 

Ci parla di questa Riforma Europol?

Europol è l’organismo di polizia dell’Unione Europea. Vogliamo potenziarlo con un regolamento che conferisca a questo Organo poteri incisivi nell’acquisizione di notizie anche presso i Paesi Terzi, e la possibilità di riversarle nel sistema integrato di informazioni Europea. Lo strumento più importante nel contrasto alla criminalità organizzata e al terrorismo è la circolazione e la condivisione delle informazioni tra gli Organi preposti alla prevenzione e repressione delle attività criminali.

 

Trattiamo dei punti a favore delle nuove ed avanzate tecnologie?

Sono assolutamente a favore ma, quando si parla di tecnologie avanzate, a cominciare dai sistemi di intelligenza artificiale, occorre porre la massima attenzione ai profili di tutela della privacy. Occorre sempre trovare un punto di equilibrio tra efficienza nella circolazione delle informazioni e rispetto dei diritti delle persone. A questo fine, per Europol, come per gli altri organismi che raccolgono ed elaborano dati personali, il Garante della privacy svolge un ruolo fondamentale.

 

Onorevole Franco Roberti, lei proviene da una carriera importantissima allo stesso tempo affascinante nella sua natura da buon Magistrato dove ha combattuto la criminalità organizzata, soprattutto sul nostro territorio, fino ai giorni attuali da buon Europarlamentare stà portando avanti queste importanti riforme sull’Antiriciclaggio, e non solo. Quale ruolo hanno i “Relatori ombra” nella elaborazione degli atti parlamentari?

Per ogni dossier legislativo, in seno alla commissione competente, accanto al Relatore vengono nominati i Relatori “ombra”, espressione dei gruppi politici diversi da quello del Relatore, per seguire i progressi e negoziare testi di compromesso. I Relatori “ombra” concorrono con il Relatore nella elaborazione dei testi normativi mediante le loro proposte di emendamento, sulle quali poi si vota in commissione. Si lavora in sinergia, scambiando bozze di testi Legislativi con i relatori e i relatori ombra. Tutti i gruppi Parlamentari partecipano all’elaborazione normativa. Un lavoro di squadra. Una mia recente esperienza, conclusa con la approvazione di una Risoluzione, ha riguardato la responsabilità penale e civile per i danni ambientali prodotti delle attività imprenditoriali. Se un’impresa produce danni ambientali ne deve rispondere sia sul piano civile nel risarcimento danni che sul piano penale per eventuali reati di inquinamento. Ci sono sul tema Direttive del 2008, largamente inapplicate, che vorremmo trasformare in Regolamenti. Un’altra recente positiva esperienza riguarda il meccanismo europeo dello Stato di diritto, un dialogo Commissione, Parlamento e Consiglio che muove dalla Relazione annuale della Commissione Europea sullo Stato di diritto nei 27 Paesi dell’Unione Europea. Dall’anno 2020 con la Commissione Von Der Leyen è stato avviato il monitoraggio sul rispetto dello Stato dei diritti nei 27 Paesi. Quindi, rispetto dell’indipendenza della magistratura, della libertà e pluralità dell’informazione, contrasto alla corruzione. Si va a verificare per ciascun Paese come stanno le cose a livello di rispetto dello Stato di Diritto allo scopo di prevenirne le eventuali ulteriori violazioni. In alcuni Paesi dell’Unione Europea – in particolare Polonia e Ungheria – lo Stato di diritto è oggi in grave crisi, a causa provvedimenti legislativi o dalla situazione della realtà criminale che condiziona le istituzioni politiche ed economiche. Anche da noi lo Stato di Diritto è messo in pericolo dalla criminalità mafiosa. Pero’ noi rispondiamo con l’organizzazione dell’Antimafia giudiziaria, politica e sociale che manca in altri Paesi dell’Unione. Da tener presente che il rispetto dello Stato di Diritto è anche una condizionalità per accedere ai fondi Europei del Next Generation EU.

 

Sui Fondi Europei del PNRR, in tema di Recovery Fund, c’è il rischio della criminalità organizzata che possa mettere le mani sui fondi, come secondo lei va contrastata?

Ancora una volta bisogna far funzionare bene la Pubblica Amministrazione, e far funzionare i sistemi integrati di circolazione e delle informazioni, cosa che in Italia stiamo già facendo da tempo. La Procura Nazionale Antimafia ha realizzato nel tempo una serie di protocolli di intesa con altre istituzioni per favorire lo scambio delle informazioni. La Procura Nazionale Antimafia e Antiterrorismo ha una banca dati formidabile, che viene implementata ogni giorno con tutti i provvedimenti e gli accertamenti antimafia prodotti nelle varie Procure distrettuali. Queste informazioni, nei limiti naturalmente del rispetto del segreto d’indagine, sono messe a disposizione delle altre istituzioni in funzione di prevenzione dei sistemi politico ed economico-finanziario dalle infiltrazioni mafiose. In particolare, oggi, per prevenire le infiltrazioni negli appalti del PNRR.

 

Infiltrazioni criminali negli appalti, un argomento all’ordine del giorno, ma soprattutto d’importanza in uno scenario globale. Di maggiore importanza è soprattutto il lavoro che svolge la Polizia Giudiziaria, messo sempre meno in evidenza?

La Polizia Giudiziaria svolge un lavoro fondamentale. Pero’ la cosa bella che abbiamo in Italia e che magari non c’è in altri Paesi, è la sinergia tra la Polizia Giudiziaria e Procura della Repubblica. Nel senso che, nel rispetto del dettato costituzionale, la Polizia Giudiziaria dipende direttamente dall’Autorità Giudiziaria e questo rapporto di dipendenza diretta ha migliorato enormemente, negli ultimi trenta anni, la qualità del lavoro sia della Polizia Giudiziaria che delle Procure.

 

Viene spontaneo dire “i nostri professionisti Italiani in ogni campo sono i migliori al mondo?

Gli italiani godono di grande stima nelle istituzioni Europee. Spesso ci buttiamo giù, ma in effetti poi, quando andiamo in Europa vediamo che siamo molto apprezzati soprattutto su queste tematiche, ma anche su tematiche economiche, poi con il Presidente Mario Draghi possiamo spendere una figura di straordinario rilievo internazionale a capo del Governo. Siamo riconosciuti, rispettati ed apprezzati e lo si è visto anche in occasione della prematura scomparsa del nostro Presidente, David Maria Sassoli, luminosa figura politica che la Storia ricorderà tra i grandi dell’Europa unita.

 

È vero che alcuni gruppi di persone radicalizzate al terrorismo provenivano dai flussi migratori?

C’è stato anche questo. Ma non possiamo mettere in diretto collegamento il fenomeno migratorio con il fenomeno del terrorismo di matrice islamista, come fanno, strumentalmente, i politici nazionalisti e sovranisti. Ci sono stati sicuramente soggetti a rischio radicalizzazione, o già radicalizzati, che sono arrivati in Europa attraverso i flussi migratori, su questo non c’è dubbio, anche in Italia, pero’ sono stati solo episodi. Il fenomeno migratorio va comunque gestito alla luce dei diritti fondamentali della persona, quelli che ha predicato fino all’ultimo giorno David Sassoli e che riflettono i valori costitutivi dell’Unione Europea, scritti nell’art. 2 del Trattato di Lisbona: lo Stato di diritto, la dignità, l’uguaglianza, la libertà, la solidarietà la giustizia e la cittadinanza. L’Unione Europea si regge su questi valori, che non possono essere disattesi proprio di fronte al fenomeno più impattante e difficile da governare, che è quello migratorio. Il terrorismo internazionale è tutt’altra storia.

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Valentina Busiello