Una domanda attende una risposta. Di quale informazione ha bisogno oggi il Mezzogiorno per facilitare il suo atteso e indispensabile avanzamento civile ed economico. Prima d’inoltrarci nella ricerca, ci si deve anche chiedere: un’informazione, potendo fruire di quella copiosa proveniente principalmente dalle radio e dai canali televisivi, è davvero necessaria? Credo si debba rispondere positivamente. Si manifesta urgente e, per i motivi che cercheremo di chiarire, irrinunciabile un’informazione che assieme alla rassegna dei fatti e ai loro commenti, aiuti a individuare la soluzione dei problemi che quotidianamente, alcuni con monotona ricorrenza, si pongono all’attenzione; avendo già riservato il giusto rilievo alla cronaca giornaliera, nelle sue molteplici sfaccettature, e all’illustrazione e al commento delle sempre nuove e sempre vecchie, spesso, vicende della politica. Un passo in avanti appare necessario: assegnare un ruolo multidisciplinare, trasversale alla progettazione e alla costruzione del nuovo che va ben oltre la rivendicazione, la denuncia e la stessa migliore e più ampia distribuzione della ricchezza. Oggi che il Mezzogiorno può contare su risorse finanziarie, fino a ieri impensabili, rese disponibili dall’Europa.

È la messa a punto di un meccanismo promosso da una spinta, da condividere, ancorata ai valori di giustizia, libertà, competenza, compartecipazione. Nel passato, il Mezzogiorno è stato letto, interpretato, educato da periodici che hanno lasciato un segno. Vengono alla mente «La Critica», «Nord e Sud», «Cronache meridionali», «Prospettive meridionali», «Il nuovo osservatore», «Meridiana», «Basilicata». Insieme ad altri che richiederebbero il ricordo. Ma tra tutti, ad avviso di chi scrive, negli anni precedenti il secondo conflitto mondiale, tra il 1934 e il 1940, ha lasciato un segno indelebile, ereditato con sagacia dalla cultura della SVIMEZ, «Questioni Meridionali». Edita a Napoli e diretta da Giuseppe Cenzato, Francesco Giordani e, fino al 1938, da Gino Olivetti che dovette dimettersi, promulgate le leggi razziali, perché ebreo. Cenzato, un milanese trasmigrato a Napoli, ne è stato l’ispiratore, il creatore e il vero direttore, affiancato dai due eccellenti colleghi. Con un economista di vaglia, Alberto Breglia, vicedirettore. La terna direzionale era formata da personalità di primo piano dell’industria, della scienza e del management, aderenti al fascismo e capaci di far uscire ogni anno due corposi fascicoli, veri e propri libri in quarto, densi di ricerche e di resoconti bibliografici.

Un periodico in grado di fotografare impietosamente la realtà – pur professando l’ossequio al Duce e alla sua dottrina – tanto delle città del Mezzogiorno che delle campagne. Con un’attenzione prevalente a sanità, natalità, fecondità e crescita demografica, il ruolo della donna nella società, scuola, sovraffollamento abitativo e edilizia, viabilità, porti, ferrovie, industrializzazione, finanza pubblica, credito agrario, turismo. Una radiografia mostrata con tutto il rilievo possibile, impressionante e triste, partendo dall’evidenza dei numeri esposti in centinaia di tabelle per dare inoppugnabile risalto al pacato commento dei redattori, capaci di penetrare le maglie della censura, anche per il credito che godevano nel regime i tre direttori. Naturalmente le angoscianti illustrazioni del lavoro subordinato, della salute e dell’istruzione non tacevano i pur limitati traguardi conseguiti dal fascismo. Al tempo stesso mostravano i percorsi da avviare per mettere a norma un Sud affetto da miserie secolari appena attenuate dal massiccio ricorso a un’emigrazione disordinata, una continua emorragia di risorse umane, priva d’assistenza. Non solo denunce, sempre circostanziate, ma indicazioni per superare il profondo divario con il resto del paese. Con gli intrecci tra l’opera da realizzare e il suo territorio, con le sue ricadute nei diversi settori della vita collettiva.

Cenzato e i suoi vogliono costruire, innovando. Alcuni temi sono posti in primo piano perché lì, ritengono, è la chiave di volta che realizzata consentirà di intraprendere la strada dello sviluppo. Tra questi, accanto alla sanità e alla scuola, primeggia il risanamento delle amministrazioni comunali e provinciali afflitte da debiti atavici e, al tempo stesso, nei buchi delle reti burocratiche, spendaccione per il superfluo (a partire dai monumenti!). «Questioni Meridionali» affronta il tema dei piani regolatori dei comuni – riservando una speciale attenzione a quello della città di Napoli, centro nevralgico dell’intero meridione – e delle loro dissestate finanze. Più  gli enti locali sono in crisi, maggiore è l’alibi per rinunciare a tecnici, sia amministrativi sia esperti nelle scienze applicate, che, scelti con rigore, risulterebbero fondamentali per porre un freno al malgoverno e  facilitare un assetto civile. Per mettere fine a quella mancata collaborazione tra politici (forti del consenso popolare) e tecnici (forti del merito e della competenza), distinti nei ruoli ma ambedue convergenti verso scopi comuni, che tanto ha nuociuto, sino a oggi, all’affermazione di un Mezzogiorno democratico, giusto, capace di creare lavoro e ricchezza.

A «Questioni Meridionali» il cammino fu precluso dalla catastrofe bellica. Resta un esempio di come fare informazione e, al tempo stesso, di come progettare il presente e l’immediato futuro. Così da poter fare ingresso nella modernità che   fin  da  allora reclamava ben diverse relazioni industriali rispetto a quelle vigenti nelle limitate aree del Sud in cui l’industria era attiva. La rivista nella sua esposizione, metteva pure in evidenza la necessità di puntare a una coesione sociale, a un sistema di solidarietà pubbliche e private per intaccare e sconfiggere col tempo quella illegalità diffusa della quale allora non era concesso fare esplicito cenno, ma che la faceva da padrona attraverso la documentata inefficienza degli enti locali, dai comuni alle province e ai molti enti da loro dipendenti sparsi sul territorio.

Nel ritornare ai nostri giorni, si prenda atto che il Mezzogiorno non ha un quotidiano di diffusione, e neppure di respiro, nazionale, né un settimanale di tale livello. Ma non è questo il traguardo cui ambire con priorità, mentre merita seguire qualche generoso, seppure isolato, nuovo tentativo dell’offerta giornalistica, anche se  sconforta la chiusura di testate con storie significative. Una classe dirigente, moderna e diffusa, qual è indispensabile a una democrazia del nuovo millennio, ha anche bisogno di essere alimentata da una cultura scientifica, tecnologica, amministrativa e organizzativa che nasca, cresca, si diffonda sul territorio nello scambio continuo con gli avanzamenti conseguiti nel resto del mondo. Inoltre il paese si fermerà se, nell’ambito dell’Unione Europea, non si rinnoverà l’idea di comunità nazionale. A questa idea il Mezzogiorno è chiamato a dare un contributo originale.

Da dove attingere? Tanta linfa creatrice circola, spesso sotto traccia, tra i dipartimenti universitari del Mezzogiorno. Non occorrono proclami per chiamare a raccolta le forze ora sparse. Quelle sedi, con i loro docenti e allievi, hanno le risorse per cimentarsi, in un coordinato impegno, su “come ideare e costruire il nuovo Mezzogiorno, nel confronto con l’agguerrita globalizzazione”. Nella fase di attuazione dei programmi, ne scaturirebbero, ne sono certo, proposte da mettere a fondamento di una cultura progettuale pronta a misurarsi con il mondo, alimentando il dialogo con le forze locali, culturali, amministrative, sociali ed economiche. Da questo intreccio risulterà un copioso materiale: esame ed elencazione di proposte e modalità di realizzazione, una rassegna orientata a risolvere i problemi del giorno per  giorno, mettendo le soluzioni in coerenza con le vocazioni territoriali.

Analisi e definizioni da raccogliere in due fascicoli annuali, servite da una direzione capace, un comitato scientifico voglioso di mettersi in gioco, un raccordo redazionale che potrebbe far capo alla SVIMEZ, che edita due riviste di riconosciuto prestigio, la «Rivista economica del Mezzogiorno» e la «Rivista giuridica del Mezzogiorno», giovandosi della collaborazione di «Politica Meridionalista – Civiltà d’Europa». Si passerebbe così dalla pur legittima rivendicazione, alla concretezza dell’esecuzione, attenti alle verifiche  e alle manutenzioni, ricercando sempre la convergenza tra competenza e qualità. Ricordando l’antico e sempre attuale ammonimento di Pasquale Villari: E se prendessimo, una ad una, tutte le istituzioni che hanno bisogno di riforma, noi troveremmo sempre che il primo passo si riduce ora a trovare modo d’introdurvi maggiore intelligenza e uomini più capaci. Il resto verrà assai facilmente e quasi da sé.

Sergio Zoppi
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