Serve una  visione rovesciata per rimettere in piedi il futuro del Mezzogiorno Ripartendo dalle aree interne.

È del 1989 il primo programma europeo per la coesione ed il riequilibrio territoriale delle aree in ritardo di sviluppo che poi, per l’Italia erano, né più  né meno, tutte le regioni meridionali. Più di un terzo del territorio ed un terzo della popolazione. Si è andati avanti per programmi successivi sino all’ultimo. Quello 2021/2027 che va a sovrapporsi, ahimè suscitando appetiti assurdi e pretese fuori luogo di “ equa distribuzione nazionale” , con i programmi ed i tempi del NGEU  e del PNRR.

In tutti questi decenni si è scommesso sullo sviluppo delle aree metropolitane, delle aree costiere, dell’industria e di un po’ di infrastrutture seminate di qua e di là senza alcun criterio e strategia coerente con il destino dei popoli e della nazione, oltre che dell’Umanità e del  pianeta intero. Le aree interne? Praticamente non interessavano a nessuno. Come a pochissimi interessava l’agricoltura e tutte le attività connesse. Roba per gente dimenticata da dio oltre che dagli uomini. Roba per caporali e per mafie di montagna o di collina magari ancora ferme all’abigeato.

Poi qualcuno scoprì l’uovo di colombo. Lo sviluppo nelle aree interne, complice la globalizzazione, sarebbe arrivato dai distretti o da qualcosa  che poteva assomigliarci. E si arrivò alla teorizzazione dello sviluppo per tracimazione o per sgocciolamento, che poi è la stessa cosa! Si sono così alimentate a dosi massicce la crescita delle aree forti del nord (e magari di qualche eccellenza  a Sud). Qualcosa, si diceva  arriverà anche al povero Mezzogiorno e nei distretti delle aree interne. Peccato che nel volgere di qualche decennio i distretti a sud sono seccati come  fiorellini senza acqua e ossigeno e le aree interne hanno preso  a spopolarsi in fretta,  tanto in fretta da far parlare di desertificazione.

Lo  sviluppo per tracimazione o sgocciolamento, non ha prodotto  risultati tangibili e nemmeno  duraturi. Le aree interne ormai vivono nel limbo dei borghi spopolati,  in attesa di qualche emigrante di ritorno almeno per qualche settimana agostana o, semmai, di qualche intellettuale in cerca di un buon ritiro dove raccogliersi e pensare, magari scrivere o creare, beneficiando dell’abbraccio primordiale del mondo sopravvissuto, fortunatamente, da quelle parti grazie alla dimenticanza del resto dell’umanità impegnata a correre a perdifiato da una parte all’altra  del globo in cerca di gente disposta a lavorare per meno, sempre meno, anzi per niente, mettendo fuori gioco quei presuntuosi di operai occidentali che davvero pensavano di poter pretendere diritti e  paghe impensabili anche per  principi e imperatori negli angoli sperduti del pianeta dove la gente si ammazzava per un piatto di riso e dove i bambini venivano spediti in miniera senza nulla a pretendere.

Nel frattempo la globalizzazione galoppava, la civiltà si omologava e si omogeneizzava lungo i litorali e nelle megalopoli e qualcuno pensava bene di riesumare le teorie di quel reazionario di Malthus che con qualche secolo di anticipo aveva avvertito che a furia di spingere lo sviluppo la terra sarebbe collassata. Prima o poi. E intanto tutti a correre dove la gente si ammassava e si sentiva alla moda. Sino a determinare la dicotomia tra campagne e città, coste ed entroterra, megalopoli superaffollate  e borghi deserti. Con il rischio di un corto circuito finale appostato da qualche parte. Tanto da far pensare alle menti più  aperte o preoccupate, che l’ Umanità potrà salvarsi solo riequilibrando il rapporto con la natura, restituendo alle campagne, ai monti ed alle colline, alle aree interne abbandonate, nuovo smalto e nuova capacità di attrazione che allenti le tensioni delle aree superaffollate del mondo  e minate dalla paura dei virus, per di più.

In alternativa non resterebbe che l’emigrazione, questa volta, dei potenti, concentrati al  vertice della piramide sociale, economica, finanziaria, verso le nuove colonie interplanetarie in fase di costruzione e di  infrastrutturazione digitale innanzitutto. In attesa di capire se la fantascienza diventerà realtà,  è  il caso intanto di rovesciare le impostazioni attuali che concentrano sviluppo e crescita nei luoghi già saturi e addirittura ingestibili se non a rischio deflagrazione, perseguendo un progetto di valorizzazione dei territori arretrati e/o abbandonati che punti a riequilibrare il rapporto città-campagna, metropoli-aree interne,  aree costiere-terre dimezzo. 

Un tratto del percorso tracciato

Lo spopolamento del Mezzogiorno con la partenza dei giovani (100.000 per anno negli ultimi dieci anni), la desertificazione dell’entroterra e l’asfissia demografica che si traduce nella  riduzione della popolazione che nei prossimi decenni potrebbe scendere ai 16 milioni di abitanti rispetto ai 22 di qualche anno addietro, danno la misura della gravità del sottosviluppo meridionale e l’urgenza di invertire la tendenza. Mancano tre milioni di posti di lavoro a Sud e certamente le prospettive future del Paese, oltre che dello stesso Mezzogiorno, non inducono all’ottimismo. Ripartire dal recupero dei territori, promuovendo una visione di sviluppo diffuso che:

  1. punti al ritorno, in chiave moderna ed innovativa, dell’agricoltura familiare legata al recupero della biodiversità;
  2. persegua la valorizzazione dei prodotti agricoli tipici ed  il recupero dei mestieri (dalla tessitura al ferro battuto, alla lavorazione del legno e della pietra) in una prospettiva di mercato ampio e diversificato;
  3. favorisca il recupero delle tradizioni culturali attraverso il rilancio dei borghi, dei castelli, delle cattedrali, dei casali e del patrimonio rurale attraendo un turismo responsabile ed ecosostenibile;
  4. incentivi i programmi di trasferimento sui territori interni di pezzi di università e centri di ricerca, solo per fare qualche esempio, può innescare indubbiamente un processo di rivitalizzazione del Mezzogiorno in grado di trattenere la popolazione e richiamare anche giovani, ricercatori e professionisti da fuori.

Ovviamente la transizione digitale e quella eco-ambientale dovranno puntare a  riequilibrare l’attuale situazione. Così come le rimanenti transizioni previste dal PNRR non dovranno mancare l’obiettivo di una perequazione ormai ineludibile se si vuole recuperare all’Italia un terzo del suo territorio e della sua popolazione ed alla nazione un ruolo attivo nel riequilibrio del pianeta. Certo per rimettere in sesto lo stato delle cose nel mondo e magari rimettere in  piedi il mondo, rovesciandone la visione sin qui dominante, bisognerà inventarsi qualcosa che vada oltre gli schemi ed i paradigmi sin qui utilizzati. Qualcosa di nuovo che muova da una visione  nuova, o se volete, da  un paradigma diverso rispetto a quelli sin qui utilizzati. Per esempio mettendo al centro delle transizioni le aree interne, le terre di mezzo, i Borghi ed i castelli, le campagne ed i casali oggi abbandonati ad un destino di decadenza senza rimedio.

In Italia (e non solo nel Mezzogiorno), questo equivarrebbe ad una vera e propria rivoluzione che finalmente riequilibrerebbe il rapporto oggi compromesso tra Nord e Sud, sviluppo e sottosviluppo, tra processi sostenibili e coerenti con il ripristino dell’equilibrio della Terra ed il  ritorno  alla centralità dell’ Umanità, tra città e campagne, tra coste e aree interne, tra giovani e vecchi, ricomponendo la cesura tra passato, presente e futuro, altrimenti insanabile e che  fatalmente  condurrebbe ad  ipotesi  fantascientifiche, ma non per questo impossibili. I cammini che, attraverso i sentieri degli antichi Pellegrini, i tratturi e le vie delle transumanze, le strade romane sopravvissute alla modernità, legano i Borghi, i castelli, le cattedrali, i monti e le valli, i fiumi e i laghi, i boschi e le pianure in una ragnatela fittissima che attraversa ogni angolo del territorio, possono rappresentare una straordinaria via d’uscita, solo che la si voglia conoscere e percorrere, magari inquadrandola in una strategia che, per sua natura, capovolgerebbe  davvero lo stato delle cose.

Parco Archeologico di Altilia

I cammini

Da sempre in Europa ed in molte altre parti del  globo i cammini attraverso le aree interne hanno rappresentato un bacino di sviluppo importante, seppure, sin qui, inquadrato n una visione, per così dire, complementare rispetto alle altre strategie di sviluppo. Si pensi ai cammini religiosi, a quelli naturalistici, ai percorsi cicloamatoriali, al trekking. In Italia, salvo alcune enclave, la cultura dei cammini non ha avuto sino ai tempi recenti cultori particolarmente numerosi.

Nel Mezzogiorno lo  stato di abbandono dei territori interni, i processi di spopolamento e di desertificazione ed anche le numerose situazioni di degrado ambientale, ecologico, industriale hanno di fatto precluso ogni ipotesi di programmazione di uno sviluppo centrato sulle aree interne. La rarefazione delle risorse finanziarie dei comuni hanno dal canto loro impedito la riscoperta di un territorio ricco di monumenti e testimonianze antropologiche e culturali oltre che paesaggistiche ed  archeologiche.

Da qualche anno, tuttavia, anche in Italia  e nel Mezzogiorno vi è un fermento nuovo intorno ai cammini tracciati lungo le vie storiche degli spostamenti degli eserciti e dei pellegrini, dei mercanti e delle popolazioni, della transumanza di mandrie e pastori, e delle vie religiose. La riproposizione della via Francigena che, da Canterbury a Santa Maria di Leuca, attraversava l’intera Europa conducendo crociati, cavalieri, mercanti e penitenti nelle capitali della cristianità sino alla  Terra Santa, ha stimolato ovunque un fiorire di iniziative  che hanno messo in moto interessi, i più ampi e diversificati, verso la conoscenza approfondita di realtà dimenticate, trascurate e addirittura sconosciute.

Lungo i tremila km della via Francigena si intravede un grande  fermento che potrà dare vita a vere e proprie nuove comunità di giovani, associazioni di volontari, aggregazioni di territori, Borghi e villaggi, strutture di ospitalità e aziende specializzate nelle produzioni tipiche che potranno richiamare una crescente  attenzione, mettendo, altresì, in moto una catena di iniziative che porteranno il popolo dei camminatori a crescere costantemente. Intorno alla via Francigena sono già sorti altri sentieri e vie di grande impatto che di fatto stanno costruendo una ragnatela che promette di vivificare realtà altrimenti prive di ogni prospettiva. Tra i  cammini gemmati dalla via Francigena, vi è la via Francigena dei Sanniti che, con il percorso che va dalla terra dei  Briganti ai sentieri degli Anarchici, rappresenta una realtà  dalle straordinarie potenzialità.

La via Francigena dei Sanniti ed il cammino dalla terra dei Briganti al sentiero degli Anarchici. La via Francigena dei Sanniti è un cammino di 530 km che si snoda tra quattro regioni del Sud. Molise, Campania, Puglia e Basilicata. Parte da Isernia e arriva a Matera attraverso un cammino che dura all’incirca venti giorni. I camminatori si spostano lungo itinerari che vanno, a seconda delle difficoltà del terreno, dai 25 ai 35 km giornalieri. Essa attraversa il territorio dei Sanniti che copre le terre molisane e campane per raggiungere le terre dei Dauni e dei Peuceti sino ai Lucani. Tutti popoli che hanno avuto più di qualche consuetudine a dialogare nella loro comune lotta per sottrarsi alla conquista dell’impero romano prima, per integrarsi in esso successivamente e per ritagliarsi ruolo ed identità dalla sua caduta in avanti . Lungo il percorso,  le vestigia del culto di Mefite, la dea che impersonava  la fecondità della madre terra presso i Sanniti, si alternano con i siti archeologici delle città Romane, da Altilia (Campobasso) a Eclano (Benevento).

I tratti dell’antica via Appia rimasti fuori dai tracciati moderni, i ponti romani, la via traianea, si intrecciano con i sentieri che legavano valli e monti, villaggi e città, le vie della transumanza, attraversando Borghi e città ricchi di arte, storia, cultura, campagne e valli, Monti e massicci ricchi di biodiversità, castelli e abbazie, chiese rupestri e testimonianze le più impensabili del passaggio dei sapiens. Lungo i 530 km si viene a contatto con un mondo che sembrava scomparso o addirittura inesistente. Ricco di passioni che trasudano dai discorsi che si intrattengono con gli abitanti e con quei giovani che han deciso di restare o addirittura di tornare. Camminando si ha netta la sensazione che lì sia  nascosta la chiave di volta per restituire un futuro al Mezzogiorno e dare una mano al mondo intero prima che sia troppo tardi.

Il cammino dalla terra dei Briganti al sentiero degli Anarchici è una costola della via Francigena dei Sanniti. Lungo 120 km, esso si snoda tra il territorio di Fragneto- Pontelandolfo-Casalduni, segnato nell’agosto del 1861 dagli eccidi del regio esercito sabaudo contro i briganti di quell’area e il territorio di San Lupo-Letino-Gallo Matese, segnato, a sua volta a distanza di 16 anni nell’aprile del 1877, dalle vicende degli Anarchici. Un’epopea, quella dei Briganti   che ha segnato la memoria collettiva delle popolazioni di quell’area sino ad oggi.  Così come il triangolo San Lupo-Letino-Gallo Matese, che fu protagonista della vicenda degli Anarchici internazionalisti ispirati da Bakunin e guidati da Carlo Cafiero ed Errico Malatesta che tentarono, senza successo di accendere il fuoco della rivoluzione dei braccianti e contadini.

Si tratta di un cammino assai suggestivo che attraversa il massiccio del Matese spingendosi sino ai confini del Molise, scoprendo territori  e piccoli borghi ricchi di tradizioni e culture oltre che di straordinari patrimoni di biodiversità. La via Francigena dei Sanniti’ è solo  uno degli innumerevoli esempi di dinamismo che caratterizza l’intero territorio meridionale oltre che nazionale. Dal Cammino delle cento torri della Sardegna, alla via Francigena della Sicilia, al Cammino Materano e così via. Partire dalla valorizzazione e messa a sistema dei cammini  proponendoli come dorsale per la valorizzazione innovativa (e alternativa) dei territori che essi attraversano potrà essere la risposta nuova ed alternativa a quanto sin qui sperimentato con enorme impiego di risorse cui hanno , invero, corrisposto risultati davvero poco lusinghieri se non addirittura  negativi.

Dal semplice  tracciamento e manutenzione dei cammini e dei sentieri, che richiedono una presenza costante di volontari ma anche il coinvolgimento delle amministrazioni comunali e regionali che vi insistono,  si potrebbe arrivare al varo di rivoluzionari accordi tra Istituzioni centrali e locali, Università, centri di ricerca, aziende, per la valorizzazione dei territori attraverso il recupero e la messa a sistema dei patrimoni archeologici, i castelli e le cattedrali, i Borghi, il ritorno alla biodiversità, attraverso  il trasferimento di unità operative  e strutture di ricerca in uno con la realizzazione, questa si fondamentale,  delle infrastrutture digitali, i servizi essenziali, la sicurezza, tutti passaggi in grado di far scattare la molla del ritorno e del ripopolamento.

Nello specifico si tratterebbe  di:

  • sostenere e favorire la nascita di associazioni di volontari che, in convenzione con le amministrazioni comunali, provvedano a tracciare e manutenere i cammini, istituendo dei presidi di assistenza e promuovendo reti di operatori locali che promuovano a loro volta la cultura della fruizione della natura e sviluppino la biodiversità;
  • realizzare una rete di festival culturali, da affidare sempre all’azione di associazioni del terzo settore, che promuovano i territori e fungano da attrattori verso i potenziali camminatori ma anche verso quanti vogliano scoprire la natura ed il turismo lento;
  • stimolare il ritorno alla biodiversità ed alla agricoltura familiare, secondo le direttive dell’Onu, indispensabile per ristabilire un corretto rapporto tra uomo e natura, supportando la popolazione locale nel varo di iniziative mirate e promuovendo l’attrazione di giovani, professionisti, operatori esterni;
  • monitorare le  antiche  infrastrutture esistenti, come strade, parchi, ponti, ferrovie e ridando ad essi nuova funzione a servizio del territorio;
  • promuovere intese con le Istituzioni, il terzo settore, le università per il trasferimento sul territorio di loro unità in grado di interagire con esso sul versante ecologico, ambientale, archeologico, urbanistico, della biodiversità, delle produzioni tipiche oltre che di tutte quella attività innovative suscettibili di essere radicate nelle aree interne;
  • promuovere, come comunità delle aree interne, interventi progettuali che colmino i divari nei servizi digitali e nei servizi sanitari e sociali oltre che logistici, necessari ad assicurare il successo ai processi di ripopolamento e valorizzazione delle aree interne.
Una sosta nel cammino degli anarchici e dei briganti

Conclusioni

Ove messi a sistema i cammini possono diventare una dorsale di straordinaria rilevanza per rilanciare le aree interne secondo  visioni e progetti innovativi e protesi al futuro ecosostenibile. Per questo è necessario un lavoro di sintesi dello stato dell’arte onde procedere alla costruzione di un paradigma di sviluppo innovativo che muova dalla specificità dei territori e li valorizzi nella prospettiva delle transizioni indicate dall’Europa e fatte proprie dal PNRR del Governo Italiano ma che rischiano di rimanere sterili enunciazioni se non declinate  secondo  le prospettive di un riequilibrio del sistema economico, sociale, produttivo che non può prescindere dal Mezzogiorno.

 

Antonio Corvino

Lascia un commento

Please enter your comment!
Please enter your name here