La mobilità, elemento fondante della nostra società, della sua equità, della sua coesione e in generale del suo benessere, è uno dei settori maggiormente colpiti dalle conseguenze della pandemia da COVID-19, alle diverse scale territoriali (locale, regionale, nazionale, internazionale) e in tutte le sue componenti. I cambiamenti di ordine sociale ─ primo tra tutti il distanziamento sociale/fisico ─ necessari a combattere la pandemia portano necessariamente a riconsiderare l’organizzazione del sistema dei trasporti, in particolare di persone: e ciò non solo nel breve periodo, ma inevitabilmente anche nelle fasi successive.

Su questi temi e sulle prospettive future del settore dei trasporti, anche alla luce del Recovery Plan, in cui alla mobilità e alle infrastrutture viene attribuito un ruolo fondamentale per il Paese, abbiamo ascoltato l’opinione dell’Ing. Stefano Zampino, Presidente dell’AIIT, l’Associazione Italiana per l’Ingegneria del Traffico e dei Trasporti, che annovera oltre 300 soci tra professionisti, dirigenti del settore pubblico e privato, accademici, presenti in tutte le regioni e operanti nei vari campi della pianificazione ed esercizio della mobilità di persone e merci, delle infrastrutture di trasporto e dell’interazione trasporti-territorio.

L’Ing. Zampino, da oltre trent’anni impegnato nei campi della pianificazione, progettazione, gestione delle infrastrutture stradali, viene eletto a ottobre dell’anno scorso alla guida dell’AIIT, dopo una lunga militanza nell’associazione e dopo essere stato Vicepresidente nazionale nel triennio 2017-2020. Il Presidente Zampino è, inoltre, autore di articoli e pubblicazioni ed è membro corresponsabile del board della Rivista Internazionale European Transport.

Ingegnere, il principale tema all’ordine del giorno è il cosiddetto Recovery Plan nel cui ambito mobilità e infrastrutture hanno un ruolo centrale per il Paese. Qual è la posizione di AIIT in merito?

AIIT, quale associazione di tecnici esperti nei vari campi della pianificazione, progettazione e gestione dei sistemi e delle infrastrutture di trasporto, non può che ritenere che il rilancio del sistema Italia debba necessariamente passare attraverso una strategia organica che muova dalla situazione attuale verso l’obiettivo di una interconnessione molto più stretta ed efficace tra le varie aree del paese. Come sappiamo la situazione attuale vede, in particolare, un sistema infrastrutturale “vecchio” concepito, negli anni ’60-’70 sulla base di regole oramai superate e quindi incapace di fare fronte alle diverse esigenze di mobilità delle persone e di scambio delle merci. Sotto altro profilo, negli ultimi decenni, abbiamo assistito, soprattutto nelle grandi città, ad un’evoluzione della domanda di spostamenti disorganica cui non ha sempre fatto da contraltare un adeguamento dell’offerta di infrastrutture e servizi capace di rispettare parametri di sostenibilità ambientali, sociali ed economici coerenti con la possibilità di assicurare alle generazioni future le giuste prospettive di crescita e sviluppo. Per recuperare il terreno perduto, occorre dunque concentrare l’attenzione verso un adeguamento e un rinnovamento del patrimonio infrastrutturale che parta da una visione integrata di “rete” in cui il potenziamento dei canali principali non porti a trascurare i sistemi di connettività territoriale e che applichi concretamente i principi della resilienza di rete per orientare le scelte di investimento. In altre parole, possiamo anche immaginare nuove autostrade che, nel prossimo ventennio, siano realmente in grado di accogliere il transito di veicoli autonomi, ma non dobbiamo dimenticare che, comunque, questi veicoli dovranno circolare anche sulle reti secondarie in condizioni di adeguata e coerente sicurezza, garantendo quell’accessibilità territoriale che è il vero snodo principale per la crescita economica del paese. Al tempo stesso, la vera strategia in grado di garantire una maggiore sostenibilità dei sistemi di trasporto che, come sappiamo, è uno degli obiettivi principali richiesti dall’UE, è da ricercare in una visione della mobilità basata su sistemi integrati, in grado di limitare sempre di più il ricorso all’uso del veicolo privato, spostando l’utenza verso sistemi multi-modali ad elevata integrazione che pongano al centro le esigenze degli utilizzatori. In questo le moderne tecnologie di ITS e MaaS sono uno strumento potentissimo che fino a pochi anni fa non esisteva e che oggi assume un ruolo centrale verso la transizione multi-modale.

Quindi, secondo AIIT, quali sono le basi principali su cui costruire la mobilità del futuro?

Come ho già evidenziato, se l’obiettivo è costruire una mobilità realmente e sotto tutti gli aspetti più sostenibile, più accessibile e più sicura, il paradigma da assumere a riferimento non può che essere quello dell’integrazione modale. Spesso il concetto di smart cities di smart roads tende a privilegiare e valorizzare l’impatto che le tecnologie digitali possono avere nel campo della vita nelle città, o dell’utilizzo dei sistemi di trasporto, ma la tecnologia è solo uno strumento che deve operare in un quadro orientato all’integrazione modale, un quadro in cui l’utente si sposterà certamente e per una parte considerevole dei viaggi mediante sistemi basati su tecnologie digitali che, tuttavia,  potranno sostituire l’uso del mezzo privato solo nella misura in cui la mobilità attiva si integrerà con  l’utilizzo di mezzi pubblici e condivisi. Ed è in questo senso che la tecnologia digitale costituirà un’opportunità nuova e concreta, ma comprendiamo tutti come il punto di partenza per una vera integrazione non possa prescindere dalla riorganizzazione e modernizzazione delle reti e dei servizi.   

Secondo quale approccio occorrerebbe orientare l’azione finalizzata ad una nuova politica di sviluppo infrastrutturale?

Il nostro Paese ha “storicamente” pagato il gap infrastrutturale tra Nord e Sud determinatosi nel tempo per ragioni legate alle politiche di investimento, ma anche ad aspetti correlati all’orografia dei territori. Questo ha comportato limitazioni localizzative per le imprese e ha influito sullo sviluppo sociale. Ma ancora di più ha probabilmente influito sulle possibilità di sviluppo l’assenza di un vero concetto di “rete” in cui determinati canali viari sono stati privilegiati rispetto ad altri, limitando conseguentemente lo sviluppo di determinati territori. L’assenza di un organico sistema “a rete” ha determinato oggi un sistema poco robusto, incapace, spesso di sopperire agli inevitabili fenomeni di “crisi” dovuti all’obsolescenza infrastrutturale e alla fragilità del nostro territorio. Per altri versi, la mancanza di un omogeneo sviluppo logistico integrato ha limitato l’inter-modalità: penso in particolare, al valore strategico della portualità. Occorre pertanto ripensare agli investimenti infrastrutturali, in un’ottica diversa, più orientata alle reti distrettuali e regionali soprattutto nella prospettiva di poter intervenire attraverso politiche adeguative e ricostruttive di quelle parti delle reti gerarchicamente sovraordinate che oggi non sono più in grado di fornire un livello prestazionale adeguato alla domanda. Mi riferisco, in particolare, alla necessità di intervenire nella ricostruzione di ponti e viadotti che hanno da tempo superato il periodo di vita utile e che non sono più adatti alle esigenze funzionali che dovrebbero svolgere.

Quindi quali dovrebbero essere le linee di indirizzo per una ripresa del settore che possa supportare correttamente la modernizzazione del Paese?

Ben vengano gli investimenti in grado di riallineare le performance di sistema alle esigenze di mobilità e sicurezza e agli obiettivi di sostenibilità. Ma in un quadro più generale, l’opinione dell’Associazione è quella di non limitare le linee di piano alla mera ripartizione  finanziaria delle risorse, ma anche di intervenire in maniera organica sulla normativa tecnica di settore  (solo in tema di trasporto stradale le norme scontano una datazione oramai ventennale) e, soprattutto, di costruire un sistema di management del territorio capace di interagire con le amministrazioni locali in una sorta di affiancamento operoso volto a costruire i percorsi adeguativi e gestionali del patrimonio esistente. Si tratta, come sottolineato dalla recente audizione della Corte dei Conti sulla prima bozza di Piano di rilancio e resilienza, di strutturare un sistema di governance di piano  che, ferme restando le responsabilità delle amministrazioni coinvolte, promuova una forte interconnessione tra tutti i soggetti pubblici a livello centrale e periferico e, ancora, tra soggetti pubblici e soggetti privati, privilegiando il valore delle conoscenze, delle esperienze e della qualità, in un approccio sistemico che valorizzi tutte le fasi del processo di innovazione e rinnovazione, dalla pianificazione, alla progettazione, alla realizzazione degli interventi.

Un’ultima domanda: cosa pensa della recente ridenominazione del Ministero per le Infrastrutture, oramai divenuto Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili?

Certamente un cambio di nome che è in linea con la giusta idea dell’attuale Governo di dare enfasi agli obiettivi cui dovrebbero tendere le strutture pubbliche preposte a “disegnare” e realizzare, sotto il profilo infrastrutturale, l’Italia del futuro. Al di là del rinnovamento del nome, tuttavia, il “nuovo” Ministero, dovrà costruire le proprie strategie – in un’ottica di ri-bilanciamento degli interessi economici, sociali ed ambientali – recuperando il gap correlato alla mancanza di un’approfondita conoscenza e mappatura dei sistemi territoriali e, quindi, dell’entità e dello stato del patrimonio edile e infrastrutturale del Paese.

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Ettore Nardi

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