Michele Prisco (Torre Annunziata, 4 gennaio 1920 – Napoli, 19 novembre 2003), giornalista, critico letterario e cinematografico e scrittore di grande spessore, molto apprezzato dal pubblico e dalla critica, è una delle figure di riferimento del panorama culturale del Mezzogiorno. Cresciuto in un ambiente borghese, colse in quel tessuto culturale uno spunto di grande ispirazione per molti dei suoi scritti. Dopo aver conseguito la laurea in Giurisprudenza ed aver superato anche gli esami di procuratore legale, decise di non seguire la carriera forense ma di abbracciare totalmente la sua vocazione letteraria. Nel 1942 ebbe inizio la sua carriera di giornalista e fu pubblicato il suo primo racconto, Gli alianti, a cui seguì, nel 1949, la pubblicazione del suo primo libro, La provincia addormentata, per il quale fu insignito della medaglia d’oro per l’opera prima al premio Strega di quell’anno. L’anno successivo pubblicò Gli eredi del vento, che vinse il Premio Venezia per le opere inedite. Da questi esordi partì la sua prolifica produzione letteraria con opere di gran successo tradotte e pubblicate anche all’estero che gli valsero importanti riconoscimenti e premi. Molto ricca anche la sua attività giornalistica con contributi a diverse testate giornalistiche di rilievo nazionale. Negli anni ‘60 divenne direttore della rivista letteraria Le ragioni narrative e per oltre un decennio ricoprì la carica di vicesegretario del Sindacato Nazionale Scrittori. Tra gli obiettivi della rivista − istituita in collaborazione con Mario Pomilio, Domenico Rea, Luigi Compagnone, Luigi Incoronato, Gian Franco Venè – un’attenta analisi e critica della letteratura italiana e straniera del Novecento, superando le chiusure ideologiche, al di là di ogni orientamento precostituito, e una narrativa incentrata prevalentemente sull’uomo, in grado, secondo le intenzioni degli stessi fondatori, “di intervenire nella risoluzione della crisi di valori del nostro tempo, ai fini, essenzialmente, di quel ritorno all’umano che è la condizione stessa della soluzione della crisi”. La rivista fu uno dei cardini della cultura del Mezzogiorno dell’epoca e diede voce ad autori del calibro di Bruno Maier, Francesco Flora, Leone Pacini Savoj, Carlo Salinari, Leonardo Sciascia, Giovanni Titta Rosa, Diego Valeri, per citarne solo alcuni. Nel 1981 riceve il Premio Guido Dorso per la Cultura, con la seguente motivazione: Michele Prisco, scrittore, è un uomo di cultura nell’accezione più ampia e compiuta del termine. In lui si fondono mirabilmente la vena creativa e lo spessore formativo di un impegno che travalica di molto la vocazione letteraria. Il rigore intellettuale, morale, professionale, la costanza di una presenza, sempre fedele alle ragioni narrative della sua “provincia”, il respiro dell’opera nella sua globalità, fanno di Michele Prisco un uomo di vera cultura prima ancora che un punto di riferimento preciso nel panorama della letteratura italiana. Lo stile letterario di Michele Prisco si contraddistingue per la ricchezza di contenuti e per la sua disamina attenta ed estremamente realistica della società, uno sguardo ad “occhi nudi”, scevro da sovrastrutture, come ricordato dalla figlia Annella Prisco, che in questa intervista lo ricorda in tutta la sua grandezza di uomo e di letterato.
Come ricorda Suo padre, come uomo e come letterato?
Come uomo per me è stato un padre straordinario, perché era un uomo di una grande serenità, aveva un rapporto molto armonioso verso la vita. Avendo perso mia madre molto presto, lui si è occupato di me e di mia sorella con grande cura e amorevolezza, ci ha fatto da padre e da madre ed è stata una figura che ha sempre avuto verso la vita uno sguardo di fiducia, era rassicurante, ci rasserenava molto come padre. Ho sempre avuto un bellissimo rapporto con lui, un grande dialogo, è stato complice di tanti miei momenti, di tante situazioni della mia vita e della mia formazione. Questo aspetto così mite e sereno è in contrasto con quelle che poi sono state le trame della sua produzione letteraria, perché, invece, nelle sue opere principali, lui ha esaminato i “guasti” di una certa borghesia. Ha scritto anche libri in cui compaiono intrecci di una notevole violenza, come ad esempio Il Pellicano di pietra, che è addirittura la storia di un matricidio, oppure, Gli eredi del vento, un altro romanzo che personalmente mi ha colpita sempre tantissimo, la storia di un maresciallo che vive storie parallele con ben cinque sorelle. Ciò che emerge dai suoi scritti è dunque una visione della vita piuttosto contorta e ai confini con delle situazioni estreme di male, di violenza, di rapporti incestuosi, dunque è molto evidente questa sorta di dualismo. Come uomo era estremamente mite, è stato un marito e un padre esemplare fedelissimo, fedele alla moglie, fedele al sarto, fedele al barbiere, di una grandissima fedeltà ai valori della vita, dalle piccole alle grandi cose, mentre nei romanzi si scatenava poi questa vena più tormentata.
Il suo intento era dunque, come aveva lui stesso enunciato nel fondare la rivista letteraria da lui diretta, puntare sull’uomo per trasmettere dei valori morali? I suoi scritti sono da intendersi quindi come una sorta di denuncia per indicare la retta via?
Certamente, i suoi erano scritti di denuncia dei mali della società.
Come descriverebbe il suo stile letterario, Lei che lo ha vissuto anche dall’interno, nelle fasi di stesura delle sue opere?
La prosa di mio padre è ricca di dettagli, con grande attenzione alle descrizioni, alle ambientazioni, alla psicologia dei personaggi. L’estrema attenzione al dettaglio è ciò che ho ereditato da lui nella mia scrittura. Anch’io cerco sempre di rendere il lettore partecipe della vicenda in cui si trova.
Quindi si può affermare che Lei è una figlia d’arte a tutti gli effetti?
Assolutamente sì. Nel mio ultimo romanzo Specchio a tre ante, edito da Guida, che sta avendo molte recensioni positive, si evince questa tendenza: attraverso un intreccio, la storia di una donna, con una serie di risvolti della sua vita privata e non solo, punto ad una denuncia di certi aspetti della media borghesia. In questo alcuni critici hanno intravisto dei parallelismi con lo stile di mio padre e una continuità tematica.
Quando è nato in Lei il desiderio di seguire le orme di Suo padre e dedicarsi a Sua volta alla scrittura?
Il mio desiderio di scrivere si è sviluppato dopo la scomparsa di mio padre. Mio padre è mancato nel 2003 e tutto è cominciato col bisogno di scrivere un’autobiografia. Dopo la sua morte, quasi come atto catartico, pubblicai Chiaroscuri d’inverno, una sorta di diario autobiografico di ricordi di vita vissuta con mio padre, alternati poi da delle riflessioni di costume. Quello è stato l’inizio della mia produzione letteraria, in seguito ho pubblicato un primo romanzo Appuntamento in rosso, nel 2012, una raccolta di interviste su una tematica diversa e poi mi sono dedicata al romanzo a cui sono più legata, ossia quest’ultimo che è appena uscito e che ho già citato, Specchio a tre ante, un romanzo a cui ho lavorato molto e che mi sta dando le giuste soddisfazioni che speravo di avere, il che vuol dire che sono riuscita a trasmettere quanto intendevo esprimere.
Suo padre è stato una delle figure più rappresentative del panorama culturale del Mezzogiorno e non solo, in che modo ritiene che le opere di Suo padre hanno avuto impatto sulla letteratura del Meridione?
Ritengo che abbia esaminato gli aspetti di una certa borghesia e che abbia sondato anche molto le dinamiche della cosiddetta “provincia addormenta”, la provincia vesuviana. Non dimentichiamo che mio padre è nato a Torre Annunziata, anche se poi ha vissuto a Napoli quasi tutta la sua vita da quando si è sposato. Lui ha posto la lente proprio su una denuncia dei mali di quel tessuto sociale e anche sulle tradizioni ataviche e spesso ipocrite di quella provincia inerme. La denuncia è rivolta proprio a questa provincia che in un certo senso subiva, quindi con un occhio anche alle figure femminili, alle donne ancora soggiogate dalla figura maschile, tutti quegli aspetti che sono sotto gli occhi di tutti. Io credo che questo sia stato il segreto proprio dell’importanza delle sue opere.
A Suo avviso che ruolo riveste la Letteratura nella società attuale?
Credo che, al di là della letteratura, la cultura in generale dovrebbe essere l’ancora di salvezza rispetto al degrado dei valori. In riferimento alla letteratura in senso stretto, credo che oggi esista una letteratura di qualità che continua a dare frutti importanti e prestigiosi, ma che vi sia anche, d’altro canto, una tendenza a voler scrivere a tutti i costi e qui si aprirebbe una lunga polemica, poiché vi sono ancora molti autori che pubblicano con editori che chiedono un compenso e l’editore, pur di pubblicare, a volte non effettua neanche un attento lavoro di editing. Tutto questo mescola un po’ i piani, però credo che sia sempre la qualità a fare la differenza.
Un messaggio conclusivo…
Cercare di guardare sempre oltre, di avere lo sguardo sempre rivolto al futuro. Al momento siamo tutti socialmente e storicamente immersi in una profonda crisi, crisi di valori e crisi di situazioni. Il mio messaggio è cercare sempre di guardare avanti, di portare avanti un progetto, che sia di tipo culturale, di tipo psicologico, di tipo anche materiale. Qualsiasi sia il progetto, va portato avanti senza mai arrendersi. Io sono una persona che si mette in gioco e di conseguenza propongo di seguire questa via. A volte è difficile, però bisogna cercare di avere fiducia, di guardare sempre avanti e mantenere la barra dritta, il che non sempre è facile, perché purtroppo il momento è veramente complicato.
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