Nella prima bozza del documento italiano sul Next Generation EU (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, PNRR) in circolazione dal 6 dicembre 2020, si conferma, ove mai vi fosse stato bisogno di disporre di ulteriori asseverazioni, la drammatica sottovalutazione dei porti meridionali nello scenario logistico nazionale. Nella parte molto stringata dedicata al sistema portuale nazionale si legge che “i porti maggiormente interessati dall’intervento (Genova e Trieste) sono snodi strategici per l’Italia e per il commercio nel Mediterraneo per i quali si prevede lo sviluppo delle infrastrutture portuali e delle infrastrutture terrestri di interconnessione”. Insomma, torna di attualità la vecchia tesi delle due “ascelle” portuali settentrionali, rispettivamente collocate nel Mar Tirreno e nel Mar Adriatico, mentre il resto del sistema è visto sostanzialmente in una funzione ancillare.

Eppure, gli scali delle regioni meridionali contribuiscono per più del 40% alla movimentazione delle merci dell’intero comparto marittimo nazionale, ed hanno anche un ruolo decisivo per lo sviluppo turistico, nel settore del traffico dei passeggeri e delle crociere. Diventa urgente una rivisitazione di questo approccio inadeguato al tema della portualità italiana, che rischia solo di generare un ulteriore indebolimento della nostra connettività con i mercati internazionali. I porti di Genova e Trieste sono soprattutto funzionali alla geografia economica degli altri Paesi comunitari. Non a caso gli ungheresi ed i tedeschi stanno pensando di investire a Trieste, mentre Genova è oggetto di contesa tra grandi armatori e grandi terminalisti: investendo nel porto ligure daremo solo un grande vantaggio competitivo ad una delle grandi multinazionali del mare

Il Next Generation EU, per come è concepito secondo le linee guida comunitarie, dovrebbe favorire il riequilibrio territoriale e la ripresa economica. La prima bozza del documento italiano appare invece ricalcare approcci tradizionali, senza un’idea di rilancio strutturale del Mezzogiorno. In questo quadro non viene attribuita sufficiente rilevanza ai porti, che costituiscono un asset formidabile per migliorare la connettività e per ricucire i territori, soprattutto quelli che presentano deficit di accessibilità. Nelle discussioni che sono seguite alla presentazione della prima bozza del PNNR, l’unico documento strutturato che è stato elaborato sono “Le 62 considerazioni di Italia Viva sulla proposta italiana per il Recovery Plan”, datata il 30 dicembre 2020, in cui l’attenzione è stata maggiormente centrata sulla scarsità delle risorse per gli investimenti, in particolare nei settori della sanità, della cultura e del turismo.

Per quanto riguarda il tema di nostro interesse, viene fatto osservare che in tema di porti “si citano solo Genova e Trieste. Perché non Gioia Tauro o Taranto o Cagliari? Il Mezzogiorno non può essere solo decontribuzione (sacrosanta misura impostata dal Jobs Act, noi siamo favorevoli) ma deve essere infrastrutture e sviluppo sulla base del modello Masterplan voluto dal sottosegretario De Vincenti”. Anche nel documento di Italia Viva, tuttavia, non si esprime una visione complessiva del sistema portuale nazionale e meridionale. Citare solo i porti hub del Mezzogiorno costituisce un errore strategico perché funzione almeno altrettanto importante svolgono i porti gateway del Mezzogiorno (tra gli altri Bari, Napoli, Salerno). Non basta solo tirare la giacchetta per un riequilibrio nella assegnazione delle risorse finanziarie verso la portualità meridionale per disegnare una strategia coerente di recupero e di rilancio della portualità nelle regioni meridionali e della logistica nazionale.

Giungiamo poi al terzo atto provvisorio della strada articolata e contraddittoria lungo il sentiero che conduce alla presentazione del documento italiano agli organismi comunitari, che deve avvenire entro il prossimo mese. La seconda bozza del PNRR, elaborata dal Ministero dell’Economia e diffusa, a distanza di un mese dal primo documento. il 7 gennaio 2021, opera un maquillage contabile furbesco, mantenendo l’impianto precedente ed aggiungendo altre fonti di finanziamento di natura differente per rispondere alle critiche che intanto erano intervenute. Oltre ai 196 miliardi di euro, tra grants e loans, il Governo decide di ricorrere anche ad un ulteriore apporto finanziario fornito, sempre nell’ambito del Next Generation EU, da 13 miliardi di euro di React-EU e da 1,2 miliardi del Just Transition Fund.

Ma dove diventa imbarazzante l’esercizio contabile è quando viene anticipata, ai fini della integrazione del piano, la programmazione nazionale dei fondi di coesione comunitaria (FSC), con una dotazione di 20 miliardi di euro, “con l’obiettivo di rafforzare, a livello sia generale che di concentrazione al Mezzogiorno, gli interventi coerenti e complementari con gli obiettivi di riequilibrio e sviluppo territoriale propri della politica di coesione nazionale, accelerandone la realizzazione attraverso i meccanismo propri del PNRR”. In questo caso siamo in presenza di una mistificazione vera e propria. Tali fondi sono la continuità di una politica strutturale pluridecennale da parte dell’Unione Europea a vantaggio delle regioni comunitarie a minore tasso di sviluppo. Sommare le risorse della coesione territoriale con quelle del Next Generation EU consente solo di far quadrare contabilmente le richieste, ma distorce le finalità delle due differenti fonti finanziarie, facendole collassare in un unico contenitore, appositamente creato.

Del resto, se poi si torna alla Missione 3 (Infrastrutture per la mobilità sostenibile), sulla seconda componente (Intermodalità e logistica integrata) non solo si riducono le risorse disponibili rispetto alla prima versione del PNRR (da 4,1 a 3,7 miliardi di euro), ma si ribadisce ancora una volta che si “prevede un programma nazionale per gli investimenti per la logistica e la digitalizzazione dei porti – a partire da Genova e Trieste”. Ancora una volta i porti meridionali non sono nemmeno citati, in un quadro che restringe, come abbiamo evidenziato, le risorse disponibili complessivamente per circa 400 milioni di euro. Insomma, nel Paese degli oltre ottomila chilometri di costa non si riesce ancora a rendere evidente che sulla connettività marittima e sulla qualità logistica si gioca una delle partite strategicamente più rilevanti per il futuro del Mezzogiorno e dell’Italia.

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Pietro Spirito

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