Riflessioni sul messaggio di fine anno 2020 del Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella

Foto Paolo Giandotti/Ufficio Stampa Quirinale/LaPresse 31 dicembre 2020 Roma, Italia Politica Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel corso del messaggio di fine anno, oggi 31 dicembre 2020. (Foto di Paolo Giandotti - Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)DISTRIBUTION FREE OF CHARGE - NOT FOR SALE

Il Presidente Sergio Mattarella nel suo tradizionale appuntamento di fine anno ha inviato un messaggio rassicurante alla Nazione: In questi giorni in cui convivono angoscia e speranza”, ma come è nel suo stile sobrio ed elegante, dopo aver riassunto con sintetiche ma anche critiche considerazioni le varie fasi della pandemia e degli interventi, ha mandato dei precisi messaggi che noi dell’Associazione Internazionale Guido Dorso vogliamo cogliere, anteponendo alle nostre riflessioni le sue parole. Nelle parole di Mattarella c’è molto futuro, anche con una riflessione forse triste sulla fine del suo mandato, ma una forte senso del dovere e dello Stato, che richiama la figura di un antico Presidente: Enrico De Nicola.

La pandemia ha scavato solchi profondi nelle nostre vite, nella nostra società. Ha acuito fragilità del passato. Ha aggravato vecchie diseguaglianze e ne ha generate di nuove ─ Il Presidente Mattarella con questa sintetica frase ha denunciato la vera situazione del Paese, il tema delle diseguaglianze e delle fragilità preesistenti alla pandemia, diseguaglianze dovute a un Paese duale, dove si è acuito il gap economico in termini di reddito, occupazione e anche di diritti di pari cittadinanza. Le recenti analisi sulla base dei Conti Pubblici Territoriali (CPT) hanno ampiamente mostrato nei diversi settori la differenza di spesa pro-capite tra le regioni del Nord e quelle del Sud, basate sull’equivoco della spesa storica. Disparità acuite da un regionalismo, che seppure previsto nel dettato costituzionale, ha determinato divisione e non coesione, a cui non ha giovato l’approvazione del titolo V della Costituzione, né la legge sul federalismo fiscale del 2009.

Il progetto portato avanti in particolare da alcune regioni del Nord sull’autonomia differenziata, senza che a monte siano stati definiti i presupposti (LEP) per garantire nel paese diritti di pari cittadinanza, costituisce un’ulteriore frattura sociale ed economica del Paese, dove chiunque si senta italiano, non lombardo, non veneto, non campano o siciliano, deve fermamente opporsi. Caro Presidente, ma se queste diseguaglianze e fragilità dichiarate non otterranno le giuste soluzioni, tenderanno solo ad aggravarsi. Le risposte alla soluzione di queste diseguaglianze vengono da un manifesto promosso da A.I.M (Alleanza Istituti Meridionalisti), di cui l’Associazione Internazionale Guido Dorso fa parte, come risposta al Governo italiano per la ripartizione, nell’ambito di sette anni, dei fondi NGE, alias Recovery Fund (209 miliardi di euro di cui 81,4 come sussidi – granting, il resto come prestiti), deliberati dall’Europa e di cui al PNRR (Piano Nazionale Resilienza e Ripresa).

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07/11/2019 – Incontro del Presidente della Repubblica con l’Associazione Internazionale Guido Dorso. Da sinistra verso destra Il consigliere del Presidente per l’informazione Gianfranco Astori, Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, Il Presidente Associazione Dorso Nicola Squitieri, Il presidente C.N.R Massimo Inguscio, il Presidente onorario Consiglio di Stato Alessandro Pajno, la professoressa Elisa Dorso, il coordinatore comitato organizzativo Associazione Dorso Michele Giannattasio, Il Segretario generale Associazione Dorso Francesco Saverio Coppola.

Dal Manifesto:

Chi ha detto che i fondi europei siano destinati a far ripartire l’Italia eliminando finalmente i divari territoriali e colmando i ritardi che li hanno creati? Chi ha detto che il Paese ha bisogno di un Sud moderno? Chi ha detto che il Paese ha bisogno della locomotiva del Mezzogiorno perché la locomotiva del Nord possa rimettersi in moto? Chi ha detto che per uscite dalla crisi pandemica bisogna costruire un’economia sostenibile, moderna, digitale ed all’avanguardia! Chi ha detto che a Mezzogiorno esistono tutti i fondamentali per un simile progetto? Chi dice queste cose è fuori dal mondo! E non ha capito che il futuro del Paese è a settentrione! Che del Mezzogiorno si può fare a meno! E che la ripartizione dei fondi europei è una questione di aritmetica e non di strategie per il futuro delle prossime generazioni! E allora il 34% del cosiddetto recovery fund europeo (Next Generation EU) basta ed avanza! Perché la popolazione del Mezzogiorno è appunto il 34%!  Tutto il resto?

Altrove! E le strategie? Il futuro? La digitalizzazione? I giovani e le donne? La mobilità, continentale e insulare, e la logistica? La scuola e l’università? La ricerca? La biodiversità e l’ambiente con l’agricoltura a misura d’uomo? Le aree interne con i cammini e la via Francigena a segnare il discrimine tra passato e futuro? La sanità e il territorio? Il 34% basta e avanza! Ma l’Europa destina il 70% dei suoi fondi per colmare i ritardi. E allora? È tempo che il Mezzogiorno si ribelli democraticamente! Alzi la voce con la sua gente, visto che il Parlamento ed il Governo italiani tacciono e avallano il riparto aritmetico! Firmiamo questo manifesto, allora! E portiamo avanti la nostra battaglia storica! Questa volta non possiamo perdere! Noi non molliamo.

Contrariamente alle indicazioni europee, il paradosso della prospettata ripartizione dei fondi europei per la fuoriuscita dalla crisi generata dalla pandemia COVID-19 prevede che alla parte più ricca, più infrastrutturata, più industrializzata del Paese vadano più fondi, mentre alla parte meno sviluppata, il Sud, e con una forte emorragia soprattutto dei giovani, vada il 34% (circa 63 miliardi di euro). Contrariamente ai principi europei (oltre che del buon padre di famiglia a cui ogni amministratore pubblico dovrebbe attenersi), il Governo italiano indica come criterio di ripartizione solo la popolazione, senza alcuna valutazione dei ritardi storici accumulati, dei bisogni, delle diseconomie e dei diritti di pari cittadinanza garantiti dalla Costituzione. Si continua così a perseguire un modello di sviluppo antiquato, quello della locomotiva del Nord o dello sviluppo per gocciolamento o tracimazione, che ha dimostrato ormai di essere sorpassato, come dimostrato dell’incremento del divario di sviluppo Nord-Sud, nonché dalla perdita di competitività del Paese negli ultimi venti anni e più, certamente non ascrivibile solo al Sud sottosviluppato.

I parametri di assegnazione, definiti a livello europeo (reddito pro capite, disoccupazione negli ultimi cinque anni, popolazione) assegnano invece al Sud almeno il 65% (circa 135 miliardi) dei fondi. Non è comprensibile per quale motivo la ripartizione adottata dal Governo italiano non debba essere allineata e coerente con il principio europeo della coesione che riguarda le regioni in ritardo di sviluppo (ex-obiettivo 1) e che fissa al 70% il riparto dei fondi strutturali. Inoltre il Governo italiano non tiene conto neanche del necessario ristoro rispetto al 34% della spesa promessa nell’ultimo triennio per investimenti pubblici e non mantenuta. Infatti l’obiettivo del 34% si è attestato al massimo a una media inferiore al 20%. I criteri deliberati in Europa, il principio sulle logiche delle Regioni in ritardo di sviluppo, il ristoro della parte non spesa del 34%, mai investito dallo Stato italiano a Sud, portano, tutti, a confermare una percentuale di ben oltre il 60%. L’assegnazione di tale percentuale di spesa non è solo dovuta, ma va ulteriormente implementata a compensazione del più basso ritorno degli investimenti al Sud utilizzando soprattutto i fondi di tipo sussidi-granting.

Pesano sul Sud gli investimenti mancati certamente non solo per responsabilità del Sud, ma dello Stato che ha omesso di investire nel Mezzogiorno in infrastrutture, logistica, digitalizzazione, università e ricerca. Ci sono tutti gli elementi affinché le Regioni meridionali avviino azioni a livello nazionale ed europeo per correggere il palese strabismo del Governo italiano nella distribuzione dei fondi che non risulta assolutamente in linea con la determinazione europea. In ogni caso, se dovesse rimanere la ripartizione attuale del 34%, il Governo italiano deve spiegare al Sud e all’Europa come i fondi dati al Nord ridurranno i parametri negativi del Sud che sono stati utilizzati per ottenere i fondi.  La distribuzione prevista fra le varie destinazioni va rivista non solo per insufficienza di motivazione, ma anche per assicurare il massimo moltiplicatore possibile degli investimenti che saranno realizzati e che al Sud è da considerarsi per motivi oggettivi, ampiamente più elevato! Sarebbe ora che le Regioni, gli Enti locali meridionali, si alleassero e mostrassero coesione in difesa dei sacrosanti diritti del Sud.

La scienza ci offre l’arma più forte, prevalendo su ignoranza e pregiudizi. Ora a tutti e ovunque, senza distinzioni, dovrà essere consentito di vaccinarsi gratuitamente: perché è giusto e perché necessario per la sicurezza comune.

Questa riflessione apre un grosso problema sul significato della ricerca, dove l’Italia è il Paese che investe di meno rispetto al PIL e che presenta divari anche a livello territoriale fra le diverse parti del paese. Il livello di investimenti in ricerca e sviluppo in Italia è ancora inferiore a quello degli altri Paesi dell’UE, come evidenziato dal Country Report for Italy 2020 della Commissione Europea. Anche se è aumentata l’attenzione delle istituzioni italiane verso il problema con il Programma Nazionale per la Ricerca (PNR) per il quinquennio 2015-2020. Secondo i dati diffusi dalla Commissione UE per il raggiungimento dell’obiettivo di R&S stabilito nel PNR (1,53 % del PIL), mentre quello fissato a livello europeo era il 3%, l’Italia ha compiuto progressi limitati negli ultimi anni e non è sulla buona strada per conseguire il suo obiettivo. Nel 2018 l’intensità di R&S è stata pari all’1,39 % del PIL. La spesa pubblica per R&S è in calo dal 2013, e nel 2018 ha raggiunto lo 0,5 % del PIL, il secondo livello più basso tra i paesi dell’UE-15. Il Sud è in ritardo in termini di ricerca, sviluppo e innovazione.

La spesa più elevata per la ricerca e lo sviluppo in percentuale del PIL si registra nell’Italia settentrionale. Le regioni che ottengono i migliori risultati (Piemonte, Emilia Romagna e la provincia autonoma di Trento) spendono in ricerca e sviluppo oltre il triplo rispetto alla regione con le prestazioni peggiori, la Calabria (0,52 % del PIL). Questo ridotto investimento non solo non giova alla competitività del paese, ma favorisce quel perverso “brain drain”, che porta molti giovani, in particolare meridionali a collocarsi e ad eccellere in centri e Università stranieri. Non siamo contro le esperienze dei giovani in altri paesi, anzi siamo dei fieri sostenitori dell’Erasmus a livello non solo europeo ma anche a livello globale che vorremmo non solo esteso agli studenti ma anche ai ricercatori. Sosteniamo che il programma Erasmus dovrebbe riguardare anche le diverse università e centri di ricerca italiani. Ma non ci piacciono le partenze dei giovani con solo biglietto di andata. Tutto questo impoverisce il capitale umano e sociale del Paese, con contraccolpi negativi sulla formazione delle future classi dirigenti. La politica in questo Paese, presa da problemi di rappresentanze elettorali e da giochi di potere ha dimenticato che l’innovazione, la ricerca sono fondamentali per competere.

 

L’Unione europea è stata capace di compiere un balzo in avanti. Ha prevalso l’Europa dei valori comuni e dei cittadini. Non era scontato. Alla crisi finanziaria di un decennio or sono l’Europa rispose senza solidarietà e senza una visione chiara del proprio futuro.  Gli interessi egoistici prevalsero. Vecchi canoni politici ed economici mostrarono tutta la loro inadeguatezza. Ora le scelte dell’Unione Europea poggiano su basi nuove. L’Italia è stata protagonista in questo cambiamento.

La riscoperta del significato dell’Europa, è un passaggio importante del Presidente. Il presidente Mattarella è stato sempre un convinto europeista, ma profonda resta la sua gioiosa meraviglia di fronte al cambiamento delle politiche nelle parole: Mai l’Unione europea si è assunta un compito così rilevante per i propri cittadini. Dobbiamo riconoscere al Presidente un grande merito nell’essere riuscito, con tatto, garbo e sensibilità politica, a evitare intemperanze che si sono manifestate in tempi recenti nel primo governo Conte non solo sulla moneta Europa, ma anche su Mes con polemiche durate fino a dicembre 2020. Il Presidente, tralasciando il suo tradizionale savoir faire, ha avuto anche il piglio di reagire decisamente a intemperanze che provenivano da alcuni paesi e da alcuni rappresentanti di istituzioni europee. L’Europa ha intrapreso un nuovo cammino, non è ancora quello ipotizzato da Altiero Spinelli, ma siamo sulla buona via. Unico neo, in questa rinnovata alleanza, è l’uscita dell’Inghilterra.

Ci accingiamo – sul versante della salute e su quello economico – a un grande compito. Tutto questo richiama e sollecita ancor di più la responsabilità delle istituzioni anzitutto, delle forze economiche, dei corpi sociali, di ciascuno di noi. Serietà, collaborazione, e anche senso del dovere, sono necessari per proteggerci e per ripartire. Il piano europeo per la ripresa, e la sua declinazione nazionale – che deve essere concreta, efficace, rigorosa, senza disperdere risorse – possono permetterci di superare fragilità strutturali che hanno impedito all’Italia di crescere come avrebbe potuto. Cambiamo ciò che va cambiato, rimettendoci coraggiosamente in gioco. Lo dobbiamo a noi stessi, lo dobbiamo alle giovani generazioni. Ognuno faccia la propria parte. La pandemia ci ha fatto riscoprire e comprendere quanto siamo legati agli altri; quanto ciascuno di noi dipenda dagli altri. Come abbiamo veduto, la solidarietà è tornata a mostrarsi base necessaria della convivenza e della società. Solidarietà internazionale. Solidarietà in Europa. Solidarietà all’interno delle nostre comunità.

Questo richiamo alla responsabilità e alla serietà degli intenti, è una forte esortazione al Paese ma soprattutto anche una forte critica alla classe politica attuale che deve finire di comportarsi come i polli di Renzo di manzoniana memoria. Il Paese ha bisogno di una classe dirigente che esprima una visione, come auspicato dal meridionalista Guido Dorso nel suo pensiero. Classe dirigente che superi gli opportunismi politici e che privilegi obiettivi di sviluppo concreto e non si perda in tatticismi di breve periodo. Gli interventi nel Paese e in particolare al Sud devono garantire in ogni caso le 5 “E”, Equa ripartizione dei fondi NGEU secondo i principi della coesione, Efficienza della spesa e della pubblica amministrazione, Efficacia dei progetti, Effetto sistemico, Elevato moltiplicatore. Sarebbe ora che le Regioni, gli Enti locali, si alleassero e mostrassero coesione dando priorità a grandi progetti multiregionali. Il grosso rischio è che, se non riusciremo a riequilibrare il Paese, alla fine i risultati che conseguiremo saranno declino, povertà, disagio sociale, disoccupazione e soprattutto debiti.

Ora dobbiamo preparare il futuro. Non viviamo in una parentesi della storia. Questo è tempo di costruttori. I prossimi mesi rappresentano un passaggio decisivo per uscire dall’emergenza e per porre le basi di una stagione nuova. Non sono ammesse distrazioni. Non si deve perdere tempo. Non vanno sprecate energie e opportunità per inseguire illusori vantaggi di parte. È questo quel che i cittadini si attendono. La sfida che è dinanzi a quanti rivestono ruoli dirigenziali nei vari ambiti, e davanti a tutti noi, richiama l’unità morale e civile degli italiani. Non si tratta di annullare le diversità di idee, di ruoli, di interessi ma di realizzare quella convergenza di fondo che ha permesso al nostro Paese di superare momenti storici di grande, talvolta drammatica, difficoltà.

Un appello accorato alla classe dirigente, responsabile della ripresa e rispondente alle aspettative del Paese. Sicuramente un monito e una sollecitazione alle best practices, ma lo scenario politico non è dei più rassicuranti, incertezze, strategie del gambero, task force, progetti antichi rispolverati, non coerenza degli interventi fra fonti del Recovery Fund, 209 miliardi, i 1100 miliardi del MFF 2021-2027, i fondi nazionali, regionali e finanza privata, non costituiscono un buon segno. Concordiamo con il Presidente, il paese deve diventare un cantiere con maestranze operose e responsabili con la chiarezza di un progetto nazionale, è finito il gioco delle parti, rischiamo solo di rubare il futuro alle prossime generazioni e di caricarli di debito senza possibilità neanche di onorarli.

07/11/2019 – il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il Presidente dell’Associazione Internazionale Guido Dorso Nicola Squitieri

Nel momento in cui, a livello mondiale, si sta riscrivendo l’agenda delle priorità, si modificano le strategie di sviluppo ed emergono nuove leadership, dobbiamo agire da protagonisti nella comunità internazionale. In questa prospettiva sarà molto importante, nel prossimo anno, il G20, che l’Italia presiede per la prima volta: un’occasione preziosa per affrontare le grandi sfide globali e un’opportunità per rafforzare il prestigio del nostro Paese.

Una consapevolezza che la dimensione europea, pur importante, non è più sufficiente a a governare i processi della globalizzazione, sia in termini di rapporti commerciali, ma anche di sicurezza. La risposta alla pandemia, ancorché nelle diverse incertezze di azione e prevenzione, ha dimostrato il valore della solidarietà internazionale non solo nel controllo della pandemia, ma nello sforzo della ricerca scientifica. Sicuramente gli organismi internazionali richiedono un cambiamento rispetto alle vecchie logiche che portarono alla loro costituzione. La pandemia ha lanciato un grande avvertimento al mondo e ha dimostrato le fragilità di Paesi, che per tradizione ritenevamo più organizzati. In questo caso assumono un importante valore l’enciclica “Fratelli Uniti” e le parole di Papa Bergoglio “nessuno si salva da solo”. Papa Bergoglio, un grande Papa, che viene ringraziato nel saluto di fine anno anche dal Presidente Mattarella.

L’anno che si apre propone diverse ricorrenze importanti. Tappe della nostra storia, anniversari che raccontano il cammino che ci ha condotto ad una unità che non è soltanto di territorio. Ricorderemo il settimo centenario della morte di Dante. Celebreremo poi il centosessantesimo dell’Unità d’Italia, il centenario della collocazione del Milite Ignoto all’Altare della Patria. E ancora i settantacinque anni della Repubblica. Dal Risorgimento alla Liberazione: le radici della nostra Costituzione. Memoria e consapevolezza della nostra identità nazionale ci aiutano per costruire il futuro.

Nelle parole finali infine un forte messaggio all’unità nazionale, spesso dimenticata e anche maltrattata, e alla riscoperta delle radici culturali e sociali del Paese, spesso obliate dalla ricerca di opportunismi ed egoismi territoriali. Grandi tradizioni italiane che devono far riscoprire tramite una lettura attenta del passato nuovi sentieri virtuosi per il presente e per il futuro. Caro Presidente, il 2021 sarà un anno importante e contiamo sulla sua presenza per avviare e indirizzare il Paese verso una nuova frontiera. In questi anni abbiamo avuto la fortuna di avere dei Presidenti della Repubblica che hanno saputo mantenere il giusto equilibrio e gestire in maniera saggia la res pubblica di fronte alle derive della politica, ci auguriamo che questo possa avvenire anche per il futuro. 

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Nicola Squitieri e Francesco Saverio Coppola
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