Lo scorso 10 dicembre è stato presentato il Rapporto 2020 La Finanza Territoriale in Italia che, giunto alla sua 14° edizione, nasce dalla collaborazione di sette istituti regionali di ricerca socioeconomica – IRES Piemonte, IRPET Toscana, SRM (Centro studi collegato ad Intesa Sanpaolo), Polis Lombardia, Ipres Puglia, Liguria Ricerche e Agenzia Umbria Ricerche – e rimane un punto di riferimento per quanti nutrono interesse verso le dinamiche dell’economia pubblica territoriale.

Il Rapporto esamina con cadenza annuale l’andamento della congiuntura economica, finanziaria e normativa nelle sue ripercussioni sugli assetti della finanza territoriale. Evidenzia, quindi, i principali cambiamenti che ci sono stati a partire dal 2008, ossia da quando sulla spinta della crisi economica – molto più che a causa dei vincoli europei – le Amministrazioni territoriali sono state travolte da molte novità. Si è assistito nel tempo a pesanti tagli alle risorse e a riforme (spesso poco chiare nel disegno generale) avviate e poi rimaste parzialmente incompiute. Le Amministrazioni territoriali hanno quindi manifestato l’urgenza non solo di un concreto rilancio degli investimenti, ma anche di un complessivo riordino del quadro tributario e dell’implementazione di un efficace sistema perequativo, anche in vista della concreta attuazione dell’autonomia differenziata.

Al centro del Rapporto Finanza Territoriale 2020 c’è il tema dell’istituto delle Regioni, che nella ricorrenza dei 50 anni, viene messo duramente alla prova dall’evento pandemico. La gestione dell’epidemia e la profondità della crisi in corso hanno costituito un importante banco di prova per tutte le istituzioni del nostro Paese facendo emergere non solo limiti e contraddizioni dell’attuale modello di decentramento e della filiera decisionale pubblica, ma anche l’importanza del contributo dei livelli istituzionali più vicini al territorio e ai cittadini nel proporre risposte spesso difficili in condizioni di emergenza. Nonostante il modello sanitario del nostro Paese sia considerato da organismi internazionali tra i più avanzati, nell’affrontare la pandemia si è presentato impreparato soprattutto per le forti disparità territoriali. La riforma federalista è quindi incompiuta nell’aspetto più importante relativo all’equità di trattamento dei propri cittadini e la ineguale risposta ai loro bisogni essenziali, con aree in cui i livelli essenziali di assistenza non sono pienamente raggiunti.

Al di là dell’attenzione dedicata alle ricadute di Covid-19, gli approfondimenti specifici curati da SRM per il Rapporto di quest’anno hanno riguardato, da un lato, le tradizionali analisi sulle diverse modalità di finanziamento degli investimenti a cui gli Enti locali e territoriali possono far ricorso e, dall’altro, lo stato dell’arte delle ZES (Zone Economiche Speciali) italiane con l’intento di esaminare, con il supporto di un caso studio, le potenzialità e il ruolo che in particolare la ZES Interregionale Ionica pugliese può avere per l’economia. Ciò al fine di fornire considerazioni di tipo strategico utili anche al fine di fornire spunti ed indirizzi su azioni di marketing e sviluppo territoriale. Per quanto riguarda l’andamento degli investimenti degli Enti territoriali, una prima considerazione è legata al fatto che, negli ultimi anni, esso è stato notevolmente influenzato dalla tendenza a contenere la dinamica evolutiva della spesa per ricondurre l’andamento dei conti pubblici su un sentiero di continuo e graduale rientro del debito pubblico nei parametri comunitari.

I limiti posti dal Patto di Stabilità prima e dal principio del pareggio di bilancio dopo, riducendo la capacità diretta degli Enti di acquisire debito, hanno di fatto avuto il principale effetto di ridurre gli investimenti, pur stimolando gli Enti stessi a cercare forme di debito alternative per continuare, comunque, ad investire. Guardando ai singoli strumenti utilizzati, nel 2019 si è registrata la conferma della tendenza in crescita dei mutui riscontrata già nell’anno precedente con un ammontare di nuove emissioni per oltre 1,1 miliardi di euro (quasi il 40% in più), raggiungendo un livello che non si vedeva dal 2014. Si spera che ciò possa rappresentare una prolungata inversione di tendenza rispetto al recente passato permettendo un recupero dei volumi persi.

Si ricorda, in merito, che nei 12 anni monitorati (2008-2019) la media annuale dei mutui concessi è passata dai quasi 3 miliardi di euro dei primi 5 anni del periodo considerato ai 785 milioni degli anni successivi. Per quanto riguarda invece il coinvolgimento del capitale privato, nel corso dell’ultimo anno i segnali provenienti dal mercato indicano il superamento delle difficoltà derivanti dall’applicazione delle norme del nuovo codice degli appalti a partire dall’aprile 2016. Secondo gli ultimi dati disponibili, con il 2018 e il 2019 (dati riferiti ai primi 10 mesi) i bandi di gara in PPP registrano un ulteriore e significativo salto in avanti, sia in termini di numero che di importi di gare. Si tratta di una vera e propria accelerazione che avvicina il numero alle 4.000 unità contro le 3.000 gare annue del periodo 2013-2017.

Lo scenario del PPP non vede certamente risolte le criticità che hanno caratterizzato gli anni precedenti e che restano sullo sfondo con tutta la loro problematicità: capacità tecnica delle stazioni appaltanti, incertezza dei tempi e sulle decisioni pubbliche, corretta attribuzione del rischio e cultura imprenditoriale basata sull’appalto di lavori e non sulla gestione, restano ad oggi elementi di freno per un corretto sviluppo del PPP. Tuttavia, allo stesso tempo non si può non notare come si vada sviluppando una continua crescita del ricorso a questo strumento e come emergano dati in grado di mostrare un lento, ma non insignificante, miglioramento. Per quanto concerne, invece, l’attuazione dei Fondi Comunitari si vede come, ad Agenda ormai quasi conclusa, e nonostante un’importante quota di risorse impegnate, la spesa effettiva viaggia (a fine 2019) ancora a rilento raggiungendo per i programmi FESR delle regioni del Mezzogiorno poco più del 30% dell’ammontare disponibile.

L’esperienza dimostra, in ogni caso, come la spesa abbia sempre fatto registrare un’impennata nell’ultimo periodo disponibile, anche come conseguenza del timore di perdere risorse. Quindi, anche se i target stabiliti per fine periodo vengono raggiunti, appare importante aprire ad una riflessione sulle dinamiche in corso (che riflettono appieno quelle del passato) soprattutto per porre le basi affinché la nuova Programmazione 2021-2027 faccia registrare tendenze diverse. A ciò va aggiunta un’importante considerazione sul ruolo che ha avuto la crisi sanitaria in corso sulla spesa dei fondi comunitari 2014-2020: per effetto del mutato quadro di riferimento è stata, infatti, necessaria una riprogrammazione delle risorse disponibili. Le maggiori necessità in ambito sanitario e sociale ed il sostegno alle attività produttive in difficoltà sono due dei principali elementi alla base di tali rivisitazioni. Sarà, quindi, molto interessante analizzare a posteriore il reale impatto delle azioni intraprese nel corso del 2020.

Pur in considerazione di questo evento eccezionale, appare comunque necessario avviare una riflessione generale sull’effettiva efficacia degli interventi in termini di effetti moltiplicativi sul territorio, a quasi un trentennio dall’avvio della politica europea di coesione. Laddove i benefici vengano valutati come insufficienti, occorrerebbe porre rimedio intervenendo su aspetti che potrebbero agire in senso migliorativo, quale ad esempio la dimensione dei progetti realizzati, sia dal punto finanziario che dell’ampiezza del territorio interessato. Le conseguenze economiche legate a Covid-19 impatteranno, per forza di cose, sulle scelte future degli Enti che vedranno una diminuzione della loro capacità d’investimento e, di conseguenza, ci sarà con buona probabilità un rallentamento nelle azioni intraprese. Sarà, quindi, molto importante agire per un percorso di rilancio che possa far recuperare, nel minor tempo possibile, quando perso nei mesi passati.

I fondi comunitari e tutte le risorse che saranno disponibili per il futuro (si pensi al Recovery Fund) avranno, quindi, un nuovo importante ruolo in chiave post pandemica. È auspicabile che l’utilizzo coretto di questi fondi segua la strada del riequilibrio territoriale in modo da fornire al Paese una nuova forza competitiva legata all’area meridionale che può essere fonte di grandi potenzialità di crescita. Le risorse comunitarie per il nuovo ciclo dei fondi 2021-2027, ad esempio, assegnano all’Italia oltre 43 miliardi di euro, una cifra in aumento rispetto al passato, da indirizzare alla crescita sintonica dei nostri territori. In questo meccanismo di riequilibrio e, quindi, di capacità del Paese di attrarre investimenti un ruolo centrale spetta alle ZES che avranno lo specifico compito di favorire le relazioni tra le imprese industriali e logistiche, attraverso la concessione di incentivi finanziari e burocratici volti a stimolare la realizzazione di iniziative imprenditoriali collegate alla crescita dei Porti, sviluppando così il traffico merci e la proiezione internazionale delle nostre regioni.

Questi strumenti, specifici per il territorio meridionale, hanno avuto una partenza problematica vista la necessità di varare alcuni provvedimenti normativi che ne definissero meglio il funzionamento tecnico come, ad esempio, le modalità di assegnazione del credito di imposta; tuttavia, sono già in corso alcuni significativi investimenti nei porti di Salerno e Gioia Tauro ed alcune manifestazioni di interesse per gli scali di Bari e Taranto. Secondo stime, le ZES possono accrescere il traffico di un porto fino all’8,4% medio annuo e le esportazioni di un territorio fino al 4% aggiuntivo. Gli incentivi automatici, inoltre, possono avere un importante effetto moltiplicativo: un euro di credito di imposta può attivare ulteriori 3 euro di investimenti privati.

In conclusione, appare evidente che la reale possibilità di concretizzare gli interventi sul territorio al fine di stimolare la ripresa ed il rilancio del nostro Mezzogiorno non poggia solo su risorse e strumenti – seppur necessari – ma sulla qualità delle nostre amministrazioni territoriali e locali nel poter effettivamente veicolare su progetti specifici quanto necessario. Quindi mai come in questo periodo la governance territoriale rappresenta il vero motore della crescita e per rendere finalmente possibile quanto finora è stato invece incompleto ed incostante.

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Agnese Casolaro e Salvio Capasso
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