La difficile transizione energetica nel settore dei trasporti
Al petrolio, che aveva rimpiazzato il ruolo precedentemente dominante del carbone, fonte energetica trainante della prima industrializzazione, si è progressivamente affiancato poi anche il metano, che ha assunto gradualmente un ruolo significativo di importanza strategica, pur non riuscendo a scalzare il peso ancora oggi dominante del petrolio. Le due crisi petrolifere degli anni settanta del secolo passato, e l’instabilità costante del prezzo del petrolio, avevano già indotto a porre al centro dell’attenzione la riduzione dalla dipendenza di una sola fonte energetica dominante. Inizialmente questa riflessione era guidata anche da considerazioni di carattere geopolitico, oltre che economico. La concentrazione delle risorse petrolifere nelle mani di poche Nazioni generava tensioni e conflitti, particolarmente nel Medio Oriente.
Più di recente, con la assunzione di consapevolezza che energia e trasporti costituiscono elementi determinanti nel grado di inquinamento e nel rischio di alterazione dell’ecosistema, si stanno generando sviluppi sempre più significativi verso la crescita delle fonti energetici alternative, con una attenzione dell’opinione pubblica e dei decisori politici verso la tutela dell’ambiente. La riconversione dell’apparato civile ed industriale verso l’utilizzo di fonti energetiche a minor impatto ambientale riguarda l’insieme delle funzioni di produzione – consumo e distribuzione – nella logistica terrestre così come in quella marittima. Per i trasporti nell’insieme è cominciata una fase di trasformazione ed adattamento, che necessariamente deve coinvolgere le reti ed i veicoli.
In funzione di questi orientamenti strategici, che modificano le coordinate di organizzazione dell’economia, le infrastrutture energetiche ed i veicoli, nel comparto terrestre ed in quello marittimo, devono progressivamente adeguarsi in modo coerente. Non si è sviluppato sino ad opra un ragionamento di visione strategica che abbia abbracciato le diverse modalità di trasporto, per individuare scelte capaci di ottimizzare gli investimenti, anche in una scala sovranazionale. Occorre rispondere da un lato alla diversificazione delle fonti energetiche e dall’altro alla diversa alimentazione dei mezzi di trasporto, la cui motorizzazione si sta orientando verso carburanti meno inquinanti. Il panorama che si sta delineando non presenta ancora certezze stabili di quadro strategico sull’approdo dominante che si determinerà in termini di scelte future.
Siamo in presenza di una transizione che avviene per effetto di interventi, essenzialmente di carattere normativo ed istituzionale, destinati a modificare gli orientamenti di produzione e le abitudini di consumo. Gli esiti di questa transizione non consentono ancora di tracciare un quadro univoco sulle conseguenze che si determineranno nel corso dei prossimi decenni. Anzi, il panorama che emerge è frutto di spinte contrastanti, derivanti dai profondi cambiamenti che si sono determinati nella struttura della produzione industriale su scala globale nel corso degli ultimi decenni. Cambiamenti radicali nell’assetto energetico si possono determinare a condizione che si riesca, tramite standard ed incentivi ad influenzare gli investimenti in infrastrutture (energetiche e trasportistiche) ed in veicoli, che permettano tendenzialmente di azzerare, o ridurre in modo molto consistente, le emissioni di CO2.
Nel presente documento si concentra l’attenzione in particolare su tre fonti energetiche emergenti; l’idrogeno, l’elettrico ed il gas naturale liquefatto. È in particolare su questi tre fronti che occorre concentrare gli sforzi per ridurre le emissioni inquinanti e per dare una svolta anche alla competitività dell’Italia, oggi danneggiata da un costo dell’energia superiore di gran lunga rispetto agli altri Paesi industriali concorrenti. Per l’Europa si presenta una occasione storica con l’avvio del programma Next Generation EU, accoppiata con la strategia del Green Deal. Le risorse finanziarie ingenti messe in campo, ed i percorsi definiti per la transizione energetica, lanciano una sfida di imponenti dimensioni, per ciascuna Nazione e per l’Unione nel suo insieme.
Gli attuali obiettivi sul clima e sull’energia, secondo quanto è contenuto nella proposta di regolamento comunitario di linee guida per le reti energetiche del 15 dicembre 2020, non sono sufficientemente ambiziosi per raggiungere entro il 2030 la riduzione del 55% delle emissioni di gas serra. L’Unione dovrà fare uno sforzo molto robusto per conseguire una quota dell’80% di fonti energetiche rinnovabili entro il 2050. Saranno necessari investimenti annuali pari a 505 miliardi di euro per raggiungere l’obiettivo al 2030. Sino ad oggi l’approccio dei diversi Stati membro è risultato troppo settoriale, e non restituisce un disegno strategico sulle scelte di sistema che andranno condotte nel corso dei prossimi anni. Questo approccio è necessario anche per l’integrazione cross border tra le reti su scala comunitaria.
Lo sviluppo industriale cinese ed i riflessi sulle politiche energetiche
Non tutti i Paesi vivono la stessa curva di trasformazione dei fabbisogni energetici: le economie ad industrializzazione matura stanno mettendo in atto, ormai già da tempo, programmi di riduzione della dipendenza dal petrolio, mentre le economie a più recente sviluppo produttivo, che genereranno nei prossimi anni la crescita maggiore della domanda energetica, anche in una prospettiva di medio periodo continueranno a basare in modo rilevante sul petrolio la propria matrice di consumo energetico. Se facciamo riferimento a quello che sta accadendo sul fronte asiatico, diventa immediatamente più chiaro il senso della direzione di marcia. Nel 2017 la Cina è diventata la maggior nazione al mondo per importazioni di petrolio (8,4 milioni di barili al giorno).
Secondo le previsioni dell’International Energy Agency, nel 2040 la dipendenza dalle importazioni petrolifere raggiungerà l’80% (dal 69% attuale). Le stime giungono ad un fabbisogno di importazione petrolifera per la Cina pari a 13 milioni di barili di petrolio al giorno. Oltre la metà delle importazioni di petrolio diretto in Cina proviene dai Paesi produttori dell’OPEC (essenzialmente Arabia Saudita ed altre monarchie del Golfo), mentre i Paesi africani (Angola in primis) coprono un altro 20%. Le rotte per le importazioni di materie prime energetiche sono ovviamente di estrema delicatezza strategica.
Si tratta di itinerari che devono essere ovviamente messi in sicurezza per assicurare l’alimentazione costante di un fabbisogno energetico che continuerà ad essere crescente: l’80% delle importazioni di petrolio e gas naturale avviene oggi per la Cina mediante rotte marittime. Oltretutto, tali tracciati di connessione incrociano alcuni colli di bottiglia particolarmente delicati dal punto di vista dei rischi connessi al terrorismo, alla pirateria ed agli equilibri geopolitici, come il canale di Suez e lo stretto di Malacca. Nella prospettiva di diversificazione del rischio e delle aree geografiche di approvvigionamento, negli anni recenti si stanno determinando convergenze ed accordi commerciali sul fronte energetico tra Russia e Cina, che già nel 2016 hanno condotto la Russia a diventare il principale fornitore di petrolio del colosso asiatico (1,2 milioni di barili giorno).
Un accordo trentennale è stato inoltre sottoscritto tra Russia e Cina per la fornitura di gas naturale, con un quantitativo che dal 2020 raggiungerà 38 Gmc anno: in prospettiva un quarto delle future importazioni cinesi di gas potrebbe essere fornito dalla Russia attraverso corridoi terrestri. Sempre per ridurre la dipendenza dalle importazioni di prodotti energetici attraverso le rotte marittime, la Cina ha costruito accordi con il Kazakhstan ed il Turkmenistan, rispettivamente per le importazioni petrolifere e per il fabbisogno di gas naturale. Quando si ricostruisce il quadro della Belt and Road Initiative (BRI), non la dobbiamo limitare dunque solo alle infrastrutture di trasporto, ma anche alle infrastrutture energetiche, oltre che a quelle di telecomunicazione. Sono queste le tre dimensioni che formano l’insieme del progetto nella sua complessità.
La riconversione dei consumi energetici
Il mutamento del quadro energetico mondiale implica una modernizzazione ed un adeguamento anche nella architettura delle infrastrutture, portuali e terrestri, tale da poter sostenere da un lato una trasformazione dei flussi, indotta dalla evoluzione della domanda, e dall’altro una riconversione dei consumi energetici verso una maggiore sostenibilità ambientale. Quest’ultimo costituisce un tema ormai ineludibile per la comunità internazionale: lo richiede non solo la sensibilità della pubblica opinione. Quello che è certo è che non è più sostenibile mantenere un assetto energetico che ha determinato una alterazione nell’ambiente che rischia di produrre conseguenze irreversibili sulle condizioni di vivibilità del pianeta.
Per effetto di questa consapevolezza, si sono cominciate ad introdurre normative con carattere prescrittivo sulle caratteristiche di motorizzazione dei veicoli, prima per quanto riguarda il trasporto terrestre, e poi, più di recente, anche verso l’armamento marittimo, con l’obiettivo di ridurre le emissioni inquinanti, per favorire riconversioni anche del sistema dei trasporti verso soluzioni ambientalmente compatibili. Questa dimensione riguarda sia le infrastrutture a terra per lo stoccaggio e la distribuzione sia l’alimentazione delle fonti energetiche necessarie per la navigazione. I parametri sull’inquinamento generato dalle navi si sono ridotti, a partire dall’inizio del 2020, per i vincoli sulle emissioni che sono stati stabiliti dalla International Maritime Organization (IMO).
In un settore che produce il 2,2% delle emissioni globali, sta crescendo la pressione sull’industria marittima per adottare carburanti più ambientalmente compatibili. Se dunque da un lato il trasporto marittimo costituisce un fattore strategico primario per la logistica energetica, dall’altra parte l’armamento rappresenta una componente primaria della domanda, orientando con le proprie scelte l’evoluzione di questo mercato nei prossimi anni. L’Europa ha raggiunto risultati degni di nota, pur se ancora non sufficienti. Nel 2018 le emissioni di gas ad effetto serra sono risultate del 23% inferiori rispetto al 1990, mentre nello stesso periodo il PIL dell’Unione è aumentato del 61%. Da questa piattaforma occorre fare un ulteriore salto di qualità.
L’interazione tra disponibilità delle infrastrutture a terra nei porti e caratteristiche della motorizzazione delle navi costituisce l’inevitabile incastro che deve essere tenuto in conto per realizzare progetti di rinnovamento che siano capaci di generare effettivamente un vantaggio strutturale ed un valore aggiunto. Analogo binomia va raggiunto per il trasporto terrestre, tra infrastrutture e veicoli. La sostenibilità, oltre che la competitività, dei sistemi economici e dell’economia marittima dipenderà anche dalle scelte che verranno operate sul versante della infrastrutturazione energetica. Oleodotti, gasdotti, depositi di stoccaggio nei porti, come a terra, costituiscono fattori primari di assetto strategico nella costruzione e nella implementazione delle politiche energetiche. Senza reti di distribuzione che consentano l’organizzazione logistica di nuovi fonti a minore impatto ambientale, diventa difficile perseguire gli obiettivi di diversificazione e riduzione della dipendenza dalle fonti maggiormente inquinanti.
Lo scacchiere energetico mediterraneo
Nel bacino del Mediterraneo, la questione energetica ha giocato, e gioca ancora oggi, un ruolo di rilevanza strategica, sia per la presenza nella regione di rilevanti giacimenti di petrolio e gas, sia per la rete di trasporti marittimi che sono sempre stati funzionali ad assicurare gli approvvigionamenti necessari per i Paesi destinatari. Va sottolineato che il 30% dei flussi marittimi delle rinfuse liquide transitano per il Mediterraneo, costituendo una delle articolazioni maggiormente rilevanti della economia marittima, in una catena del valore che si articola dai luoghi di produzione, attraverso il trasporto, sino ai luoghi di consumo.
Attorno al tema delle risorse energetiche, ed al controllo di queste fondamentali materie prime, si è giocata parte essenziale della geopolitica e della geo-strategia nei diversi quadranti della politica internazionale, in particolare nell’area del Medio-Oriente, e più in generale nel bacino del Mediterraneo. Anche da questo punto di vista, il Canale di Suez ha giocato nei passati decenni, ed ancora gioca, un ruolo essenziale, assicurando il transito delle rinfuse liquide, sia in direzione dei mercati europei sia in direzione dei mercati asiatici. La certezza del commercio in sicurezza delle materie prime energetiche è sempre stata una delle questioni fondamentali per l’equilibrio della politica internazionale in questo quadrante.
Oltre ad essere un’area fondamentale per la produzione energetica di gas e petrolio, dal punto di vista energetico, la regione mediterranea è terza dopo la Cina e gli Stati Uniti per consumi totale di energia e per emissioni di CO2. Si gioca dunque all’interno dell’area mediterranea una delle più rilevanti partite per la riconversione economica e per la riorganizzazione del mercato energetico mondiale, non solo sul versante dell’offerta ma anche sul versante della domanda. Siamo in presenza di uno scenario differenziato, nel quale le partite di scambio tra Paesi che affacciano sul Mare Nostrum sono rilevanti, ed anche differenziate tra loro. Schematicamente, i Paesi europei che affacciano sul Mediterraneo, i Balcani e la Turchia registrano una elevata dipendenza dalle importazioni energetiche, mentre la Regione del Middle East and North Africa (MENA) nel suo insieme è un esportatore netto, grazie soprattutto agli apporti di Libia ed Algeria.
Collegamenti marittimi ed infrastrutture fisse di connessione rappresentano le due modalità attraverso le quali avviene lo scambio di prodotti energetici su scala sovranazionale. Laddove i flussi raggiungono, principalmente su distanze di medio raggio, elevate economie di scala emergono i vantaggi per investire negli oleodotti e nei gasdotti. Le reti di connessione, organizzate per assicurare l’alimentazione dei prodotti energetici dai Paesi produttori ai Paesi consumatori, costituiscono l’ossatura che consente il funzionamento dell’economia industriale e civile. È stato proprio in questa direzione che si sono sviluppati i rapporti tra le due sponde del Mediterraneo.
L’energia è una componente fondamentale della relazione economica tra l’Unione Europea e i Paesi mediterranei del Sud. Questo dato risale agli anni sessanta del secolo passato, quando si avviarono le discussioni sulla prima infrastruttura di larga scala nella regione mediterranea – un gasdotto che connetteva l’Algeria all’Italia attraverso la Tunisia. Da allora più di 6.000 km di gasdotti sono stati costruiti attraverso il Mediterraneo, per connettere l’Algeria con la Spagna e l’Italia, e la Libia con l’Italia. Proprio nella delicata fase di transizione verso il consolidamento dell’indipendenza dei Paesi del Nord Africa, nei decenni immediatamente seguenti alla seconda guerra mondiale, la costruzione delle reti energetiche ha giocato un ruolo estremamente rilevante nella articolazione dei rapporti economici e politici con la Comunità Economica Europea.
I legami energetici tra le due sponde del Mediterraneo sono stati – e restano – fondamentali. L’aspetto che ora è maggiormente chiaro rispetto a pochi anni fa è la complementarietà delle relazioni ed il bisogno di convergere su interessi integrati. All’inizio del nuovo millennio, si è tentato di replicare la formula di successo sperimentata nel caso dei gasdotti allargando la cooperazione mediterranea nell’area delle energie rinnovabili, mediante due progetti fondati sull’energia eolica e solare. Queste due iniziative sono però fallite essenzialmente per gli alti costi di generazione elettrica e la mancanza di adeguati impianti di interconnessione tra Sud e Nord del Mediterraneo. Tale esperienza dovrebbe indurre a non centrare nuovi progetti di sviluppo delle fonti energetiche alternative verso l’esportazione in Europa, quanto verso il soddisfacimento del crescente fabbisogno energetico dei paesi della sponda sud del Mediterraneo.
Del resto, tra il 2000 ed il 2015, la domanda di elettricità nei Paesi del Mediterraneo meridionale è più che raddoppiata. Proprio a partire dal 2015, a seguito dell’accordo di Parigi per combattere il cambiamento climatico, da un lato ciascun Paese deve definire specifici target per ridurre le emissioni di gas serra e dall’altro lato sono state messe in campo risorse finanziarie rilevanti per sostenere i paesi in via di sviluppo nel loro sforzo per la riduzione delle emissioni. L’Unione Europea, con 20,2 miliardi di euro nel 2016, è il più importante contributore su questa linea di finanziamento. L’Europa, d’altro canto, si è dotata di una strategia per costruire una rete transeuropea di connessioni (TEN-e) al fine di consolidare un mercato energetico integrato: sono stati definiti nove corridoi prioritari e tre aree tematiche prioritarie, con un finanziamento di fondi comunitari pari a 5,35 miliardi di euro nel periodo 2014-2020.
Una parte di questo programma di interconnessioni transeuropee riguarda anche il fronte meridionale del bacino del Mediterraneo, per consolidare i collegamenti in particolare verso i Balcani ed il Nord Africa. Nei settori del petrolio e del gas sono le forze di mercato a giocare un ruolo primario. Anche questi mercati stanno attraversando a loro volta una fase di profonda riconfigurazione. L’organizzazione ed il funzionamento delle reti infrastrutturali di collegamento rappresenta un elemento strategico per l’assetto e le prospettive degli scambi energetici. Nel settore del gas si può suddividere il mercato mediterraneo in tre corridoi: occidentale, orientale e centrale. L’area occidentale comprende l’Algeria quale fornitore e Spagna, Portogallo e Francia quali Paesi consumatori. Nella zona centrale i Paesi consumatori (Italia e Balcani) sono interconnessi, mentre i principali Paesi esportatori sono Algeria e Libia, assieme alla Tunisia.
Nell’area orientale esiste il minor grado di interconnessione attraverso infrastrutture primarie, con la inevitabile conseguenza di una maggiore necessità di collegamenti marittimi. I due principali mercati del gas della regione (Egitto e Turchia) non sono interconnessi.
Il trasporto terrestre: la soluzione dell’idrogeno per la lunga percorrenza e dell’elettrico per il corto raggio
Stando ai più recenti dati disponibili, il comparto dei trasporti è ancora fortemente dipendente dal petrolio, per oltre il 90% della trazione impiegata. D’altro lato, le emissioni di CO2 hanno raggiunto, a livello mondiale, nel 2018 le 37,1 giga-tonnellate (Gt). In termini pro-capite gli Stati Uniti rimangono il Paese che ha di gran lunga le emissioni più elevate (16 tonnellate pro-capite). Va però considerato che, secondo le previsioni disponibili al 2050, le emissioni dei Paesi non OCSE cresceranno di quasi il 300%, per cui sarebbe auspicabile e necessaria una politica energetica sovranazionale. I trasporti contribuiscono per un quinto del totale delle emissioni inquinanti nel mondo. In Europa il contributo dei trasporti arriva al 27%, più di un quarto): va sottolineato che in questi conti non sono attribuibili il trasporto marittimo internazionale ed il trasporto aereo internazionale.
Nella strategia di decarbonizzazione e di riduzione dell’impatto ambientale avviata dalla Unione Europea è evidente bisognerà superare questa accentuata dipendenza dal petrolio, per percorrere strade capaci di dare un contributo sostanziale verso gli obiettivi fissati di riduzione delle sostanze inquinanti delle attività di trasporto, che costituiscono circa un quarto del consumo energetico complessivo. Va osservato che la decarbonizzazione nel settore dei trasporti sarà probabilmente più impegnativa rispetto ad altri settori, vista la continua crescita della domanda di trasporto. Nei prossimi anni, superata la parentesi della emergenza dettata dalla pandemia, continueranno ad aumentare le esigenze di una mobilità, passeggeri e merci, che costituisce uno dei driver primari della globalizzazione.
Non ci si potrà basare su una sola tecnologia per andare in direzione della necessaria diversificazione delle fonti energetiche. Nel settore dei trasporti devono essere adottate soluzioni che rendano combustibile da un lato produzione e stoccaggio delle fonti energetiche con l’alimentazione dei motori dei diversi vettori di trasporto. Nel settore dei trasporti non è stata di conseguenza identificata dalla Commissione Europea una unica soluzione dominante in termini di tecnologia (e conseguentemente di vettore energetico) per il futuro della mobilità a basse emissioni: le istituzioni comunitarie ritengono che saranno necessarie tutte le principali opzioni di carburante alternativo, ma in misura diversa per ciascuna modalità di trasporto.
Per la struttura della ripartizione modale in Italia, ed anche per il livello di inquinanti determinato, il trasporto su gomma delle merci costituisce il terreno primario per lo sviluppo della soluzione ad idrogeno sulle medie e lunghe distanze, mentre la soluzione elettrica risulterà più conveniente sul corto raggio. In Europa il trasporto delle merci su gomma contribuisce per due terzi al totale della mobilità commerciale. L’idrogeno ora pesa solo per meno del 2% sul totale dei consumi energetici comunitari: è usato primariamente per produrre nel settore chimico materiali come la plastica ed i fertilizzanti. Tale idrogeno oggi per il 96% è prodotto dal gas naturale, emettendo quindi comunque un significativo valore di emissioni CO2. L’idrogeno può essere invece prodotto dalle energie rinnovabili (idrogeno verde) ed è questo il percorso che deve essere seguito per dare un contributo significativo alla decarbonizzazione.
Si tratta di un elemento presente in tutti i composti organici e negli organismi viventi. Rappresenta il 73,9%, in massa di tutta la galassia, ed è, come ha detto il padre della chimica Antoine-Laurent de Lavoisier, “lo stesso che brucia nel sole e nelle stelle, e dalla cui condensazione si formano in eterno gli universi”. L’idrogeno è il gas con minore densità ed è il combustibile con il più alto potere calorico su massa, ma con il più basso rispetto al volume. L’Unione Europea si è data l’obiettivo di raggiungere entro il 2024 una potenza installata di energia ad idrogeno pari a 66W, con una produzione fino a 1 milione di tonnellate. Tra il 2025 ed il 2030 si intende raggiungere una potenza installata di almeno 40GW, e sino a 10 milioni di tonnellate. Negli anni successivi l’Unione intende estendere a scala ancora più larga la produzione ed in consumo di energia ad idrogeno.
Attualmente sono due le aziende che hanno presentato prototipi per il trasporto merci su medie e lunghe distanze su gomma: Tesla Motors, con il Semitruck completamente elettrico, e Nikola, sia con camion elettrico e ad idrogeno. I vantaggi consistono nella possibilità di effettuare il pieno in 15 minuti, con una autonomia di 500-700 miglia simile ai veicoli diesel. Per il resto del mercato, sul corto raggio, la soluzione elettrica sarà più certamente vantaggiosa nelle consegne all’interno delle città e delle aree metropolitane. Insomma, il primo passaggio necessario, contestuale rispetto alla diffusione di un parco attrezzato con la nuova tipologia di trazione, consiste nella necessità di costituire una rete di stoccaggio primaria, presente in modo articolato sul territorio nazionale, rappresenta il primo passo indispensabile per andare in questa direzione, assieme alla necessità di industrializzare la produzione di mezzi di trasporto stradale competitivi sotto il profilo del costo di produzione e della manutenzione.
In Italia esiste solo un distributore di idrogeno per vetture, a Bolzano, e due impianti per il Tpl (Milano e Catania), mentre ne esistono 55 in Germania, 36 in California, 160 sono programmati in Giappone entro il 2021. Il costo di una stazione di distribuzione ad idrogeno si attesta attorno ai 2 milioni di euro. Ovviamente, senza la disponibilità di una adeguata rete di distribuzione, non può nemmeno iniziare un programma industriale per la costruzione e la commercializzazione di mezzi ad idrogeno. La costituzione di una rete primaria di produzione e di stoccaggio dell’idrogeno può essere rappresentata dagli interporti italiani: ventisei strutture di grande dimensione, presente in modo capillare al Nord, con una maggiore rarefazione nel Centro-Sud: solo la Sardegna ne è esclusa.
La rete degli Interporti italiani
Ogni giorno accedono negli Interporti italiani oltre 25.000 automezzi pesanti per il trasporto delle merci. Si tratta di una massa critica rilevante per poter garantire un approvvigionamento di rete primaria agli automezzi attrezzati con la soluzione della trazione ad idrogeno. Sarebbe importante far coincidere il luogo di stoccaggio con il luogo di produzione, per ottimizzare il ciclo logistico, favorendo economie di scala che sono rilevanti soprattutto nella fase di avviamento della nuova tecnologia. La minimizzazione dei costi di trasporto costituisce un elemento da considerare per effettuare una analisi costi-benefici che sarebbe comunque opportuna nella scelta delle fonti di energia in comparazione tra le diverse soluzioni possibili.
La costituzione di una rete primaria per la produzione e la distribuzione dell’idrogeno adeguatamente diffusa sul territorio consentirebbe di minimizzare i costi per la rete secondaria di distribuzione, che diventerebbe complementare rispetto alla rete primaria. La capacità degli automezzi su gomma ad idrogeno di coprire distanze tra le 500 e le 770 miglia mette al riparo dalla necessità di assicurare una eccessiva capillarità alla struttura distributiva. Il dialogo istituzionale per costruire una soluzione di produzione e rete dell’idrogeno può essere condotto in prima battuta con l’Unione Interporti Riuniti (UIR), l’associazione che mette assieme gli Interporti italiani.
In funzione delle scelte tecnologiche che il Governo nazionale maturerà si potrà anche garantire uno standard unitario alla rete di produzione e stoccaggio per l’idrogeno funzionale alla movimentazione dei mezzi di trasporto su gomma. Diverso è il caso dei veicoli privati su gomma e dei mezzi su gomma per la distribuzione su corto raggio delle merci (furgoni per la distribuzione di ultimo miglio). In questo caso la tecnologica energetica della trazione elettrica appare la soluzione più adeguata, sia dal punto di vista dell’impatto ambientale sia dal punto di vista dei costi per la rete distributiva, che in questo caso deve essere necessariamente capillare, considerata l’autonomia molto più limitata del raggio di percorrenza consentito da tale tecnologia.
Per la rete elettrica, andranno pensate anche colonnine adatte ai mezzi gommati di corto raggio, per consentire ricariche adeguatamente diffuse sul territorio, considerata la minore percorrenza che la trazione elettrica comporta. Secondo stime disponibili, al 2025 saranno solo 27.000 le auto a circolare in Italia con la trazione ed idrogeno, e 1.100 gli autobus. È tempo di fare scelte, per evitare che diventino concorrenti e sovrapposte reti distributive o cui investimenti sono comunque costosi. Per tale ragione, per quanto riguarda il trasporto terrestre si potrebbe segmentare il mercato energetico in funzione del raggio di percorrenza, scegliendo:
- l’ìdrogeno per il lungo raggio nel settore dei mezzi gommati
- l’elettrico per il corto raggio, sia per le autovetture private sia per il trasporto gommato di ultimo miglio
Il ruolo della logistica energetica nell’economia del mare: il GNL
La dimensione energetica costituisce una delle variabili cruciali per la competitività dei sistemi economici e per la struttura del commercio internazionale. Il settore marittimo ne rappresenta una articolazione rilevante, per effetto dei flussi di interscambio che si determinano tra Paesi produttori e consumatori. Va sottolineato che l’87% dei trasporti internazionali di merce avviene via mare, il 5% via ferrovia, l’8% via strada ed una quota residuale in aereo. Entro il 2050 si prevede che il commercio internazionale aumenterà di tre volte, con pari aumento delle merci trasportate.
I porti entrano in questo gioco competitivo quale uno degli snodi principali per lo scambio e la distribuzione dei prodotti energetici. Il ruolo di cerniera logistica nella struttura del mercato energetico caratterizza anche l’articolazione infrastrutturale degli scali marittimi, che svolgono una funzione rilevante nella catena del valore della intera filiera energetica. Mentre il fenomeno della containerizzazione continua a catalizzare la discussione sulla struttura del mercato marittimo e portuale, occorre sottolineare che l’approvvigionamento, lo stoccaggio e la distribuzione dei prodotti energetici ha da sempre rappresentato uno dei pilastri dell’economia del mare, oltre ad essere una delle fondamentali matrici di scambio tra porti e territorio.
Le diverse fasi del mercato energetico, e le caratteristiche dominanti delle materie prime nel corso del tempo, hanno ovviamente condizionato l’organizzazione della logistica e delle infrastrutture, anche all’interno dei sistemi portuali. Nella storia del secolo passato, il petrolio ha costituito la fonte di approvvigionamento dominante, per cui i porti sono stati utilizzati, nei paesi di prima industrializzazione, inizialmente come sede per gli impianti di raffinazione e poi, quando con la globalizzazione le raffinerie si sono delocalizzate prevalentemente nei paesi in via di sviluppo, come depositi di stoccaggio per la distribuzione.
Il petrolio resta ancora oggi la fonte energetica principale, pur se, come vedremo più avanti, è cominciato un percorso di diversificazione che sta inevitabilmente inducendo un processo di trasformazione nei flussi e nei processi del mercato delle materie prime. Nel panorama della logistica energetica, che continua ancora oggi a costituire uno dei fattori di competitività strategica per il funzionamento dell’economia industriale, i porti hanno dunque sempre giocato un ruolo di rilevanza primaria. Essi hanno innanzitutto garantito al sistema manifatturiero ed alle comunità urbane l’alimentazione energetica indispensabile per il tessuto produttivo e la vita quotidiana; ma poi anche hanno costituito il terminal per il rifornimento delle flotte marittime, sempre più indispensabili alla intensificazione del commercio internazionale ed alla crescita costante del traffico passeggeri e merci.
Nel corso della fase più recente, mentre il gas ha assunto una crescente rilevanza strategica, anche per gli investimenti in corso a livello sovranazionale per la costruzione di nuovi gasdotti, si sta affermando una fonte energetica – il gas naturale liquefatto (GNL), che presenta caratteristiche d’uso potenzialmente interessanti anche per il settore marittimo stesso. Il GNL ha raggiunto una maturità tecnologica adeguata anche per i veicoli pesanti terrestri (camion e bus) e per le navi di grande dimensione, consentendo la distribuzione su larga scala di questa fonte energetica. Esistono in prospettiva le convenienze economiche ed ecologiche per un consistente sviluppo su scala internazionale del GNL.
Nonostante la caduta del prezzo del petrolio dopo il 2014, il GNL conserva un significativo vantaggio finanziario ed ambientale sulle fonti tradizionali, specialmente per effetto dei vincoli sempre più stringenti dal punto di vista regolatorio, che tendono a premiare le fonti energetiche con minore impatto negativo sull’ambiente. Inoltre, con la ripresa del prezzo del petrolio prevista nei prossimi anni, il GNL può giocare un ruolo di importanza crescente: si tratta di un gas naturale – costituito principalmente da metano – che, attraverso una serie di processi di raffreddamento e condensazione, viene liquefatto.
In condizioni di temperatura idonee, circa -160°C, il GNL può essere stoccato allo stato liquido in appositi contenitori e trasportato ovunque, anche nelle zone non raggiunte dalla rete del metano (in montagna, in campagna e nelle isole). Durante il processo di liquefazione il suo volume si riduce di ben 600 volte, e ciò permette di immagazzinare una grande quantità di energia in poco spazio. Questo elemento, evidentemente, rappresenta una delle potenziali condizioni di vantaggio competitivo del GNL dal punto di vista dell’assetto logistico rispetto alle altre fonti energetiche.
Il GNL ha grandi potenzialità di utilizzo sia in ambito civile (usi industriali e domestici) sia come carburante per i trasporti marittimi e terrestri. È una fonte energetica a basso impatto ambientale: azzera le emissioni di particolato ed abbassa notevolmente le emissioni di CO2. Si tratta di un prodotto relativamente nuovo per il nostro Paese, ed è un mercato in piena crescita su scala internazionale. La filiera degli usi finali del GNL ha già mosso i primi passi nella realtà italiana. Importanti sviluppi sono attesi con l’attuazione della Direttiva europea sull’incremento dei carburanti alternativi, dove i gas liquefatti – GPL e GNL – sono indicati come prodotti strategici per raggiungere uno sviluppo sostenibile reale di tutti gli Stati della Unione Europea.
Per il trasporto terrestre, è la Cina che finora ha spinto lo sviluppo di questo carburante: oggi il gigante asiatico conta più del 90% delle stazioni di rifornimento terrestre di GNL. Questo obiettivo è stato raggiunto grazie ad interventi di politica industriale e ad un sistema di incentivi che sino al 2015 ha fortemente indotto la riconversione del traffico terrestre pesante verso il GNL. Nel segmento del trasporto marittimo, invece, sinora è stato il Nord Europa, la Francia, la Spagna e Malta a cogliere in modo significativo le opportunità di diversificazione consentite da questa fonte energetica.
Mentre la rete degli Interporti può essere la soluzione adatta per costruire impianti di produzione e stoccaggio dell’idrogeno, per il gas naturale liquefatto, e per il trasporto marittimo, sono i porti i luoghi naturalmente vocati ad ospitare gli impianti di stoccaggio. Vale la pena di sottolineare che per le navi il GNL assicura un livello minore di costi operativi rispetto alle altre soluzioni, e questo aspetto ovviamente determina un vantaggio competitivo che verrà certamente considerato nelle scelte che saranno assunte sulle caratteristiche di motorizzazione necessarie per assicurare conformità sulle emissioni ambientali.
La costruzione di una rete di depositi per il GNL, a partire dai porti – che costituiscono la necessaria porta di ingresso per l’importazione di questa fonte energetica – rappresenta uno degli elementi qualificanti del piano energetico nazionale, e degli indirizzi comunitari in materia di pianificazione energetica. Qualche passaggio concreto in questa direzione comincia ad essere realizzato, anche nel nostro Paese. Oristano e Ravenna saranno i primi impianti di stoccaggio ad essere realizzati. Anche il porto di Napoli si è candidato ad essere, così come previsto dal piano energetico nazionale, una delle otto sedi strategiche per lo stoccaggio.
Già oggi lo scalo partenopeo costituisce uno snodo essenziale per la distribuzione energetica nelle regioni meridionali, in un raggio vasto di territorio: i flussi di traffico marittimi annuali per le rinfuse liquide raggiungono circa quattro milioni di tonnellate di petrolio ed un milione di tonnellate di gas. Nel corso del 2017 l’Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Centrale ha effettuato uno studio di pre-fattibilità per la realizzazione di un deposito di stoccaggio del GNL, con la collaborazione della Università della Campania. Successivamente, un raggruppamento tra Edison e Q8, ha presentato al MISE un progetto che ha superato il vaglio della conferenza preliminare dei servizi.
La tempestività sarà una variabile decisiva per il successo di questa operazione di riconversione energetica. Gli armatori, soprattutto nel segmento delle crociere, stanno ordinando navi ad alimentazione bifuel, quindi compatibili anche con il GNL. Anche nel settore delle navi portacontainer la scelta dell’alimentazione bifuel comincia ad essere presa in considerazione. Analogo, ed anche più intenso, processo di trasformazione è in corso per le flotte camionistiche, ma, senza una rete di distribuzione adeguata sul territorio nazionale, che parte necessariamente dai porti, questa discontinuità così rilevante nell’approvvigionamento energetico sarà realizzata in Italia con ritardo.
Il nostro Paese ha perso molti punti di competitività proprio perché non è riuscito a mettere in atto processi di riconversione con una adeguata tempestività rispetto alla evoluzione del contesto internazionale. Anche per la diversificazione delle fonti energetiche, e per la realizzazione di un sistema di consumi maggiormente compatibile con l’ambiente, si rischia di creare un gap incolmabile tra le scelte di indirizzo strategico e la realtà operativa. Dobbiamo fare in modo che non sia così, mettendo in campo una iniziativa straordinaria che dimostri con i fatti la capacità di esecuzione. Viviamo un momento nel quale sembra più facile esprimere energie di interdizione verso lo sviluppo industriale piuttosto che non sviluppare iniziative concrete per supportare i processi di trasformazione. Con questo approccio, però, non andremo molto lontano, e la stagnazione economica che attraversiamo rischierà di diventare strutturale.
Gli interventi per l’efficientamento energetico nei porti
I porti non sono solo uno snodo logistico per lo stoccaggio e la distribuzione dei prodotti energetici: possono svolgere un ruolo positivo sui consumi e sull’ambiente anche attraverso altri interventi. Un fronte che sicuramente merita impegno e programmazione riguarda l’implementazione di misure per l’efficienza energetica, assieme alle misure possibili per la riduzione dell’inquinamento delle navi ferme alle banchine. Da questo punto di vista i porti, intesi come infrastrutture, possono e debbono dare il proprio contributo per rendere adeguati dal punto di vista dell’impatto ambientale e della efficienza energetica gli impianti comuni di illuminazione, per operare laddove possibile con interventi per diversificazione delle fonti, promuovendo la diffusione di impianti solari o eolici, laddove convenienti ed ambientalmente compatibili.
Sul tema della elettrificazione delle banchine molto si è discusso, ma sinora poco si è riuscito a fare. Solo quando si mettono assieme tutte le componenti necessarie a far quadrare il cerchio, si possono poi allineare le volontà per costruire un progetto effettivamente fattibile ed efficace. Per raggiungere obiettivi concreti sotto questo profilo occorre mettere assieme in un tavolo di lavoro le compagnie di navigazione, i soggetti fornitori di energia e l’Autorità pubblica. Solo una azione concertata e sinergica tra questi differenti soggetti può determinare un risultato positivo, che è inevitabilmente il frutto di una convergenza tra diverse dimensioni che devono trovare un punto di equilibrio.
La compagnia di navigazione deve prendere l’impegno ad attrezzare i propri mezzi per l’alimentazione elettrica e ad investire per realizzare il convertitore in banchina. Il fornitore di energia deve assumere l’impegno di mettere a disposizione tariffe ad un prezzo competitivo per la riuscita del progetto. L’autorità pubblica deve operare per riconoscere alla compagnia di navigazione un ecobonus, che renda sostenibile l’operazione. Chiaramente, in questo schema, occorre trovare il punto di equilibrio dal punto di vista del ritorno economico, oltre che ambientale. Per le analisi svolte, tale condizione si presenta certamente quando le navi sono ferme in banchina durante la notte, dal momento che la tariffa energetica presenta un valore compatibile con la riuscita dell’operazione.
Situazione differente si delinea durante le ore diurne, dal momento che la tariffa elettrica si configura molto più elevata, rendendo più difficile il raggiungimento di un punto di equilibrio che renda economicamente sostenibile l’operazione. Dovrebbe in questo caso intervenire il regolatore, per poter consentire un valore della tariffa elettrica adeguato alla fattibilità del progetto. Come abbiamo visto, i porti svolgono un ruolo di primo piano nell’assetto dei mercati energetici. Con i depositi costieri costituiscono parte rilevante della articolazione logistica della intera filiera, essendo elemento di congiunzione tra luoghi di produzione e luoghi di consumo. Poi, i porti stessi possono svolgere un ruolo di ottimizzazione ed efficienza nei consumi energetici della infrastruttura marittima.
Accanto ai porti, rilevante diventa l’equilibrio tra rotte marittime e rotte terrestri per la distribuzione dei prodotti energetici: la realizzazione di nuove reti di oleodotti e di gasdotti sarà certamente uno degli investimenti più rilevanti dimensionalmente per il futuro, soprattutto nello scacchiere asiatico. Per le rotte marittime, soprattutto per le connessioni di maggiore percorrenza, diventa decisiva la capacità di assicurare sicurezza e piena operatività in modo continuo. Porre attenzione alle dinamiche che si giocheranno nei prossimi anni sul fronte della riorganizzazione delle fonti energetiche, con le conseguenti scelte in termini di assetto logistico, costituisce uno degli assi e delle dimensioni che non può essere considerato secondario nell’assetto dei sistemi portuali di domani e del network delle connessioni marittimi e terrestri.
La dimensione energetica costituisce una delle variabili cruciali per la competitività dei sistemi economici e delle relazioni territoriali. I porti entrano in questo gioco competitivo quale uno degli snodi principali per lo scambio e la distribuzione dei prodotti energetici. I porti in Italia sono sempre stati e continuano ad essere il principale gate di rifornimento energetico di un paese energivoro, ma povero di risorse proprie. Nella storia del secolo passato, il petrolio ha costituito la fonte di approvvigionamento dominante, per cui i porti sono stati utilizzati prima come sede per gli impianti di raffinazione e poi, quando con la globalizzazione le raffinerie si sono delocalizzate prevalentemente nei paesi in via di sviluppo. come depositi di stoccaggio per la distribuzione.
Al petrolio si è progressivamente affiancato poi anche il metano, che ha assunto gradualmente un ruolo significativo come fonte energetica di importanza strategica, pur non riuscendo a scalzare il peso ancora oggi dominante del petrolio. Le due crisi petrolifere degli anni Settanta del secolo passato, e l’instabilità del prezzo del petrolio, avevano già indotto a porre al centro dell’attenzione la riduzione dalla dipendenza di una sola fonte energetica dominante. Comunque, i risultati che sono stati raggiunti sinora, restano molto parziali. In Italia, uno dei Paesi al mondo che più ha portato avanti politiche di diversificazione, i prodotti petroliferi contano ancora per il 90% del totale della domanda di energia, con il resto coperto da elettricità, quella usata dai treni e da poche macchine, da biocarburanti e da metano.
Più di recente, con la assunzione di consapevolezza che energia e trasporti costituiscono elementi principali nell’inquinamento ambientale e nel rischio di alterazione dell’ecosistema, si stanno determinando sviluppi sempre più significativi verso la crescita delle fonti energetici alternative, con un impatto ridotto verso l’ambiente. La costruzione di una rete di depositi per il GNL, a partire dai porti che costituiscono la necessaria porta di ingresso per l’importazione di questa fonte energetica, rappresenta uno degli elementi qualificanti del piano energetico nazionale. Qualche passaggio concreto in questa direzione comincia ad essere realizzato, anche in un Paese, come il nostro, nel quale tutto accade con estrema lentezza. Oristano e Ravenna saranno i primi impianti di stoccaggio ad essere realizzati.
Il mutamento del quadro energetico mondiale implica una modernizzazione ed un adeguamento delle infrastrutture portuali tale da poter sostenere una riconversione dei consumi energetici verso una maggiore sostenibilità ambientale. Tale dimensione riguarda sia le infrastrutture a terra sia l’alimentazione delle fonti energetiche per la navigazione. I parametri sull’inquinamento generato dalle navi dovranno ridursi per i nuovi criteri sulle emissioni che sono stati stabiliti dalla International Maritime Organization (IMO).
L’interazione tra infrastrutture a terra e motorizzazione delle navi costituisce l’inevitabile incastro che deve essere tenuto in conto per realizzare progetti di rinnovamento che siano capaci di generare effettivamente un vantaggio strutturale ed un valore aggiunto. Pensiamo all’annoso tema sulla elettrificazione delle banchine, del quale molto si è discusso e sul quale poco si è fatto. Solo quando si mettono assieme tutte le componenti necessarie a far quadrare il cerchio, si possono poi allineare le volontà per costruire un progetto effettivamente fattibile ed efficace. Un altro asse di intervento riguarda la sostenibilità delle infrastrutture comuni per il consumo e la produzione energetica.
Ma, come abbiamo detto in precedenza, la trasformazione più significativa nell’arco dei prossimi anni sarà la diffusione degli impianti per lo stoccaggio di GNL nei porti italiani. Altri Paesi si sono, o si stanno, attrezzando più velocemente. Lo sviluppo di questa fonte è stato adottato dal piano energetico comunitario, ripreso anche dal piano energetico nazionale, all’interno del quale è prevista la realizzazione di depositi per il GNL nei principali otto porti italiani. La tempestività sarà una variabile decisiva per il successo di questa operazione di riconversione energetica. Gli armatori, soprattutto nel segmento delle crociere, stanno ordinando navi ad alimentazione bifuel, quindi compatibili anche con il GNL.
Analogo, ed anche più intenso, processi di trasformazione è in corso per le flotte camionistiche. ma, senza una rete di distribuzione adeguata sul territorio nazionale, che parte necessariamente dai porti, questa discontinuità così rilevante nell’approvvigionamento energetico sarà realizzata in Italia con ritardo. Nel caso del trasporto terrestre su gomma serve una scelta strategica dello Stato: la soluzione della razione ad idrogeno può essere effettivamente percorribile, come abbiamo detto precedentemente, se si costituisce una rete di produzione e stoccaggio. Questo bivio deve essere sciolto rapidamente, anche perché è già cominciato un processo di riconversione delle flotte camionistiche verso il GNL.
Il nostro Paese ha perso molti punti di competitività proprio perché non è riuscito a mettere in atto processi di riconversione con una adeguata tempestività rispetto alla evoluzione del contesto internazionale. Anche per la diversificazione delle fonti energetiche, e per la realizzazione di un sistema di consumi maggiormente compatibile con l’ambiente, si rischia di creare un gap incolmabile tra i pronunciamenti strategici e la realtà operativa. Dobbiamo fare in modo che non sia così, mettendo in campo una iniziativa straordinaria che dimostri con i fatti la capacità di esecuzione. Viviamo un momento nel quale sembra più facile esprimere energie interdittive verso lo sviluppo industriale piuttosto che non sviluppare iniziative concrete per supportare i processi di trasformazione. Le iniziative che saranno adottate nell’ambito del Next Generation Italia saranno la cartina al tornasole per dare impulso ad una rinnovata competitività dei trasporti e dell’industria nazionale, nella fase di implementazione dei programmi e nella gestione del nuovo modello di sistema energetico nazionale.
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