23 novembre del 1980, ore 19:34. La terra che ti trema sotto i piedi è qualcosa d’impressionante. Ero a Fuorigrotta e l’ho sentito forte, ma ciò che mi è rimasto impresso è la ventata di gas e zolfo che si sentì per l’aria e che, inizialmente, fecero pensare ai vulcani dei Campi Flegrei, alla Solfatara. Sentii un grande rumore, un boato scatenato dal tremore delle case, vidi i lampioni oscillare ed il viale Kennedy trasformarsi in una marea ondeggiante. L’edificio del Politecnico in maniera paurosa oscillava, e oscillava come una pentola in ebollizione lo stadio di S. Paolo. Non c’era verso di trovare equilibrio. Per 90 secondi la terra ha tremato, 6,9 gradi della scala Richter, con un’intensità tra i 10 gradi (completamente distruttiva) e i 7 gradi (molto forte) della scala Mercalli. Il bilancio è più critico di un bollettino di guerra: le stime riferirono di 2.914 morti, 8.848 feriti e circa 280mila sfollati.
In totale 679 Comuni raggiunti dal sisma, 8 le province coinvolte: Avellino, Benevento, Caserta, Matera, Napoli, Potenza, Salerno e Foggia. Tra i 679 ben 506, il 74%, ha subito gravi danni. Nel dettaglio: 20mila alloggi distrutti o irrecuperabili nei 36 Comuni della fascia epicentrale. Mentre in 244 Comuni (non epicentrali) altri 50mila edifici hanno registrato danni da gravissimi a medio-gravi. E ci sono poi altri 30mila alloggi danneggiati in maniera lieve. A sei giorni dal sismo il giornalista de Il Mattino, Carlo Franco (scomparso pochi giorni orsono), firmò un articolo il cui titolo fu un monito per le istituzioni: “FATE PRESTO”. Una prima pagina entrata nella storia dell’arte grazie ad una riproduzione acrilica fattane da Andy Warhol, maestro della Pop Art. Negli anni si sono inseriti interessi che hanno dirottato i fondi verso aree che non ne avevano diritto, moltiplicando il numero dei Comuni colpiti. Inizialmente erano solo 36, poi 280 in seguito a un decreto dell’allora presidente del Consiglio Arnaldo Forlani, del maggio 1981, fino a raggiungere la cifra, attraverso una serie di decreti successivi, di 687.
A 40 anni dalla scossa sono ancora visibili le crepe di un processo di ricostruzione mai ultimato. La prima stima dei danni, fatta nel 1981 dagli uffici statali, parlava di circa 8.000 miliardi di lire. Cifra cresciuta col passare degli anni, fino a superare quota 60.000 miliardi di lire nel 2000, e 32 miliardi di euro nel 2008. A 40 anni dal sismo la ricostruzione del patrimonio edilizio ha superato il 90%, ma in alcuni Comuni le persone vivono ancora in “case temporanee” Il processo di ricostruzione è stato spesso simbolo di speculazioni, tornaconti personali e criminalità organizzata. Tra le tante crepe ancora visibili quella che ancora oggi tutti etichettano come la “ricostruzione democristiana”: il progetto di sviluppo industriale dell’Irpinia. Ancora non si sono attenuate le polemiche attorno all’industrializzazione delle aree del “cratere”, già all’epoca finite nel mirino della Commissione parlamentare d’inchiesta, allora presieduta da Oscar Luigi Scalfaro, poi divenuto Presidente della Repubblica.
I governi avvicendatisi negli anni hanno poi sempre ribadito la volontà di risollevare un territorio dalla crisi economica e dal pericolo di spopolamento dovuto all’emigrazione elargendo finanziamenti per l’insediamento e la ricostruzione delle industrie. Tutto senza una seria regia o una seria programmazione. La cementificazione d’impresa, le aree industriali sono sorte un po’ dappertutto, in eccesso, anche a sole poche centinaia di metri una dall’altra, nel raggio di dieci chilometri ci ritroviamo con addirittura quattro aree industriali, su ventimila abitanti. Uno spreco di risorse senza precedenti. L’idea di far ripartire lavoro ed economia sfumò al confronto di aziende calate, soprattutto dal Nord, per profittare dei finanziamenti (a fondo perduto) per poi abbandonare il territorio lasciando cattedrali nel deserto. I contributi, quindi, furono dati a falsi o presunti imprenditori che ottenuto il finanziamento lasciarono la desertificazione assoluta. Fu realizzata così un’operazione economica per pochi eletti che hanno aperto e chiuso industrie. A volte hanno preso i soldi senza neanche mai aprirle le imprese.
La legge 219/81 fu lo strumento che pianificò la ricostruzione. Costruire case per chi le aveva perse, come nella zona dell’epicentro, ma anche per chi non le aveva, come nell’area metropolitana di Napoli. L’idea “geniale” per l’Irpinia fu quella di portare, pensate un po’, l’industria in montagna, coinvolgere gli imprenditori del Nord nella pioggia di soldi della ricostruzione. Il sistema, straordinariamente semplice, si basava sul nulla, non c’era un progetto e nemmeno un bilancio, si otteneva dallo Stato il 75% dell’opera che si voleva costruire a fondo perduto, una democristianata. Ci siamo trovati con proposte industriali assurde. Questo fu il caso della ‘Nautica Tormene’, una fabbrica che avrebbe dovuto produrre barche in vetroresina, ma che fu posizionata a Morra De Santis, sullo spartiacque preciso dell’appennino meridionale, forse perché da qui si vedevano i due mari, l’Adriatico e il Tirreno. Oppure la ‘IATO’, che doveva essere la risposta italiana alla Suzuki. A Nusco si creò questo stabilimento che doveva produrre fuoristrada che dovevano essere venduti alle forze dell’ordine e all’esercito. Ne furono prodotti 188 esemplari, ma rimasero tutti allineati sul piazzale dell’azienda, nessuno li volle più. Avevano una particolarità, quando li mettevi in moto, il motore cascava a terra, si rompeva proprio. Una risposta alla Suzuki soltanto per ridere.
La ‘Isochimica’ di Avellino, che decoinbentava dall’amianto le carrozze delle Ferrovie dello Stato, senza protezioni, senza mascherine per gli operai, tra una scuola e un campo di calcio. Ancora oggi non sappiamo quelle tonnellate di amianto dove siano esattamente finite.
La maggior parte degli stabilimenti fallì in pochi anni, altri invece furono chiusi dai proprietari, smontati e portati al Nord dove furono reinstallate le imprese. Nel 1980 non c’erano i cellulari e le intercettazioni, ma sono certo che anche quella notte qualche imprenditore sorrise davanti a quelle scene di morte, intravedendo soldi facili. Mentre la ricostruzione accumula ritardi e l’industrializzazione fallisce miseramente, nel 1988 viene istituita la Commissione bicamerale d’inchiesta sul post terremoto in Irpinia, presieduta da Oscar Luigi Scalfaro, che poi diventerà Presidente della Repubblica, che concluse i suoi lavori nel 1992. Fu accertato che il “grande affare” teneva dentro tutti, dal segretario del grande partito, agli uomini di governo, alle grandi imprese, fino ad arrivare ai piccoli subappaltatori di paese.
Una vera e propria economia della catastrofe fu alimentata dal flusso di denaro del post terremoto in Irpinia, che costruì anche le fortune politiche degli uomini della Democrazia Cristiana e rimpinguò le casse dei grandi gruppi industriali del Nord.
Lo Stato spese sessantamila miliardi di vecchie lire (trenta miliardi di euro) per soli 1.200 posti di lavoro (25milioni di euro per posto di lavoro) in settori decotti, con imprese che poi hanno chiuso, licenziato gli operai e portato tutto a Biella o in Brianza o nel Bresciano.
Un sistema di potere che vide protagonista lo stato generale della DC campana, irpina e napoletana, poi c’erano i pezzi grossi di Confindustria e i grossi imprenditori edili napoletani. Soprattutto è grazie al terremoto che la criminalità diventa imprenditoria, si compie quella trasformazione della camorra e della mafia che grazie ai rapporti con la politica fanno il salto di qualità. Tra quegli imprenditori che parteciparono al post terremoto c’erano anche i mafiosi “Cavalieri di Catania” (definizione di Pippo Fava ucciso dalla mafia nel 1984). Considerati dei grandi imprenditori al tempo e i soldi venivano dati attraverso intermediazione bancaria. E tra le banche che fecero fortuna con la legge 219 del post terremoto c’era la Banca Popolare dell’Irpinia, tra i suoi soci un politico irpino. Sud, Nord, soldi (una marea), politica, imprenditori, banche una tranquilla favola italiana che ha portato all’idea della scissione, alla Lega Nord, magari con i soldi venuti dall’Irpinia. Soprattutto non ha portato sviluppo e non ha portato lavoro. Roba da far tremare le gambe… e anche la terra, che a quarant’anni dal sisma grida ancora vendetta.
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