La scossa di terremoto di magnitudo 6.9 che il 23 novembre di 40 anni fa fece tremare l’Appennino al confine tra Campania e Basilicata, con epicentro in Irpinia, è stata la più forte degli ultimi 100 anni in Italia: fece quasi 3000 vittime, 280.000 sfollati, e rase al suolo interi paesi. Quel terremoto, dal costo sociale ed economico altissimo, ha segnato una svolta nelle ricerche geofisiche, dando l’inizio anche allo sviluppo della sorveglianza sismica h24 dei terremoti in Italia. “Da allora è cambiato tutto, a partire dalla rete sismica. In Italia nel 1980 c’erano pochissime stazioni, mentre adesso abbiamo la Rete Sismica Nazionale con oltre 400 stazioni” ha detto all’ANSA il Presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), Carlo Doglioni. Tuttavia, ha aggiunto, “abbiamo ancora molta strada da fare: in Giappone per esempio ci sono 5000 stazioni ed è stata installata una rete sismica anche in mare, che da noi manca”. Negli anni seguenti è nata anche la rete Gps che misura gli spostamenti della crosta terrestre che in Appennino sono di alcuni millimetri all’anno. È cresciuta anche la rete accelerometrica, che registra accelerazione e velocità del suolo al passaggio delle onde sismiche. Poi si sono aggiunti i dati satellitari che permettono di osservare dallo spazio la deformazione del suolo durante un sisma. Il terremoto del 1980, secondo Doglioni, ha dato l’avvio anche all’implementazione dello studio dei terremoti storici: “abbiamo uno dei migliori cataloghi al mondo e sappiamo che dove c’è stato un forte terremoto, lì, prima o poi si ripeterà”.

Carlo Doglioni – Presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv)

Il terremoto, secondo Doglioni, è “una sorta di esperimento da cui impariamo tantissimo, è come per un astrofisico vedere l’esplosione di una supernova, con la grande differenza che un sisma ha implicazioni sociali altissime: dal terremoto del Belice del 1968 a quello di Amatrice-Norcia del 2016, l’Italia ha speso 180 miliardi di euro per la ricostruzione, per non parlare della disgregazione demografica ed economica dei territori devastati. Nonostante ciò, l’uomo ha la tendenza a voler rimuovere dalla memoria i terremoti, come oggi vorremmo dimenticare la pandemia perché ci fa soffrire, impedendoci di avere quell’atteggiamento di paura che ci deve invece stimolare alla giusta attività di prevenzione”. Celebrare il 40° anniversario del terremoto dell’Irpinia è molto importante, ha concluso, “perché ci ricorda che è un fenomeno naturale, che ritornerà certamente, e con il quale dobbiamo abituarci a convivere, adottando i migliori criteri finalizzati a salvare la Vita, le Abitazioni, la libertà dei cittadini, e l’Economia delle comunità, ne VALE la pena”. VALE è infatti l’acronimo che l’Ingv ha lanciato per veicolare questo messaggio.

Monica Nardone
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