Nei vari articoli e servizi dedicati alla scomparsa di Sergio Zavoli, non è stato mai ricordato il suo pensiero sulla questione meridionale e il particolare e intenso rapporto tra la città di Napoli e il grande giornalista; un rapporto poco noto al grande pubblico ma che fu particolarmente intenso. Zavoli fu destinatario, nel 1992, del Premio “Guido Dorso” nel corso di una cerimonia svoltasi presso l’aula Pessina dell’Università Federico II di Napoli. Nella motivazione del riconoscimento si ricordava, tra l’altro, la sua inchiesta “Viaggio nel Sud”. Nel suo “viaggio”, incontrando le grandi questioni irrisolte dell’area meridionale, Zavoli cerca di comprendere l’origine e il senso, sempre sul filo della razionalità e della obiettività. E l’inchiesta coglie in pieno l’obiettivo che il suo autore si era prefissato: il problema meridionale non riguarda soltanto la credibilità dello Stato, delle sue istituzioni, ma viene a toccare persino l’essenza stessa della democrazia.
Mi sembra quindi opportuno riportare questa significativa e inedita testimonianza. “La questione meridionale – affermava Zavoli – che va considerata piuttosto una vertenza nazionale, ha certamente giovato alla crescita della consapevolezza del Paese intorno ai problemi dei meridionali ma al tempo stesso è stato qualcosa che ha identificato i meridionali come realtà particolare, straordinaria e perciò in qualche modo da espellere dalla complessa realtà nazionale. “Non credo che sia più tempo di straordinarietà, ma di ordinarietà. Il Sud o è l’Italia o è una invenzione di chi è interessato a perpetrare questa idea: che una parte del Paese debba andare in Europa e l’altra in Africa. Di fronte a questa vergogno culturale, civile e morale, noi ci ribelliamo, lasciate che noi non meridionali ci indigniamo ancora prima di chi vive nel Sud.
Lo facciamo per spirito di solidarietà, persuasi che questa Unità d’Italia mai conclusa e ahimè temo anche mai cominciata, più con un’annessione che con una unità, si è trascinata questo problema che è stato prima negato e poi pensato di risolverlo con l’assistenzialismo e piccole complicità, quasi che la storia non avesse il dovere di omologarvi rispetto a tutto il Paese”. Ricevendo il Premio Dorso, Zavoli affermava poi di avere con Napoli un antico legame, perchè ricordava ancora, non soltanto “ho iniziato la mia carriera professionale, nel 1949, presso la Rai, che all’epoca aveva la sua sede al Corso Umberto I, ma perché qui ho avuto dimestichezza con le forze culturali di questa città trascorrendo intense serate con Rea, Compagnone, Prisco, Cortese, Viviani, Stefanile, Pratolini. Ero arrivato a Roma, da Rimini, deciso ad intraprendere la carriera giornalistica ed ero approdato al giornale-radio e l’allora direttore, Picone Stella, pose come condizione per la mia assunzione che io venissi a Napoli a fare una sorta di tirocinio che sarebbe durato sei mesi.
Alloggiai all’Hotel Patria in via Guglielmo Sanfelice e realizzai una serie di documentari, uno per settimana. Erano tempi bellissimi per me che venivo da una terra ricca di umanità, ma non altrettanto di quella cultura che io a Napoli trovavo. Sono poi ritornato in città dopo molti anni, perchè chiamato alla presidenza della Fondazione Premio Napoli. Ritrovai la città ancora bisognosa di comprensione, di solidarietà, di consenso, quasi che non si fosse ancora compiuta quella sorta di ricostruzione. Mi sembra che di fronte ai grandi problemi dell’urgenza morale, civile e sociale, Napoli e i. napoletani si stanno riappropriando finalmente della loro storia. E siccome alle spalle hanno una grande civiltà, una grande cultura, sono convinto che la storia di Napoli e dei napoletani sarà presto una grande storia degna di questo Paese.” .. Nella foto Il Presidente Nicola Squitieri dell’Associazione internazionale Guido Dorso con Sergio Zavoli in occasione del premio.
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